La magistratura di Panama ha perquisito gli uffici dello studio legale Mossack Fonseca, al centro dello scandalo sui paradisi fiscali e sul riciclaggio di denaro nelle società di comodo detto Panama Papers. Gli oltre 11,5 milioni di documenti, fatti pervenire in forma anonima al giornale tedesco Süddeutsche Zeitung chiamano in causa 12 capi di Stato attuali e passati e oltre 60 dei loro familiari, nonché moltissime personalità politiche, della cultura e dello sport.

Il presidente del Panama, Juan Carlos Varela, ha chiesto alla Francia – che ha nuovamente inserito il paese nella lista dei paradisi fiscali – di tornare sulla sua decisione. Varela ha annunciato che il suo governo ha chiesto l’aiuto del Nobel per l’economia Joseph Stiglitz per mettere ordine nelle sue politiche finanziarie. Stiglitz, oggi consigliere economico di Hillary Clinton noto per i suoi studi sulle disuguaglianze, avrebbe accettato di presiedere un comitato di esperti, provenienti da diversi settori sociali.

Intanto, i Panama Papers continuano a far discutere. La fonte che ha dato il via allo scandalo contattando il giornale tedesco è rimasta anonima: dunque non andrà in galera come Bradley Manning (il soldato che ha rivelato il Cablogate a Wikileaks, ora Chelsea), né sarà perseguita come Julian Assange, o costretto a fuggire come Edward Snowden, che ha rivelato il Datagate. E Wikileaks ha rilevato che fra i finanziatori del Consorzio di oltre 370 giornalisti appartenenti a grandi redazioni (l’Icij) c’è l’Agenzia per lo sviluppo Usa, la Usaid, emanazione della Cia (circostanza confermata da Washington).

I Panama Papers avrebbero come loro principale obiettivo l’aumento delle sanzioni alla Russia, e per questo i nomi di alcuni amici del presidente Putin sarebbero stati sparati in prima pagina dai grandi giornali, tutt’altro che recalcitranti come nei precedenti Cablogate e Datagate. Wikilkeaks fa notare anche che la montagna di dati – per leggerli tutti ci vorrebbero trent’anni – non è stata messa in rete, seppur con qualche revisione com’è accaduto nei due precedenti scandali, ma viene gestita in base alle logiche dei grandi media. Tuttavia, in America latina, gli analisti di sinistra, pur condividendo le critiche di Wikileaks, si servono dei nomi filtrati per indicare come la tracotanza dei ricchi e l’ipocrisia di chi li rappresenta in politica non conosca frontiere: vale per l’attuale presidente argentino, l’imprenditore Mauricio Macri, nome di rilievo nelle società offshore, che ha impostato la sua campagna elettorale all’insegna della lotta alla corruzione e su cui è stata aperta un’inchiesta.

Vale, anche, per l’opposizione venezuelana e per la lunga lista di nomi emersa dallo scandalo. Dopo mesi di campagna stampa dei media di Miami e di quelli spagnoli per screditare l’ex presidente del Parlamento, il chavista Diosdado Cabello e vari altri membri del governo come intestatari di società illegali e di soldi all’estero, non c’è traccia di loro nei Panama Papers. Il Venezuela è citato in 241.000 documenti sui paradisi fiscali.

Emergono nomi di noti dirigenti della destra che hanno usato il regime fiscale di Panama per nascondere i capitali ottenuti in modo fraudolento nel corso di quarant’anni. Tra questi, Diego Arria, ex governatore dell’ex presidente Carlos Andrés Pérez e uno dei principali portavoci della destra venezuelana. Armando Briquet, dirigente nazionale del partito di Capriles, Primero Justicia, è uno dei politici con più imprese offshore a Panama. C’è anche il banchiere fraudolento fuggito a Miami, Eligio Cedeño, finanziatore di Capriles. E figura Julio Borges, capo della frazione parlamentare della destra nell’attuale Parlamento. Borges è proprietario di un’impresa offshore, registrata il 6 agosto del 2012. Ma un editoriale del Washington Post ha chiesto all’Osa di intervenire in Venezuela contro il governo di Nicolas Maduro.