Fa male la luce quando è abbacinante. Soprattutto quando investe la strada con la sua propensione metafisica e Maria, varcato il cancello, si ritrova in un desertificato «fuori», soleggiato e afoso. Lei è sola, con quella libertà appena riconquistata che non dà gioia ma soffoca perché è rarefatta, senza confini né luoghi. È un vuoto, uno stordimento fisico e mentale.
Così Alberto Schiavone ci presenta la protagonista del suo romanzo, che incontriamo il giorno in cui esce dal carcere senza nessuno che la porti via da lì, verso una possibile salvezza esistenziale.
Non esisto (edizioni Clichy, pp. 180, euro 18,50, dal 14 in libreria), racconta la vertigine di uno sperdimento, l’emarginazione emotiva di chi non ha comunità e intuisce il proprio destino scritto nei precipizi.

MARIA CAMMINA, incespicando più volte, sul bilico perenne tra bene e male: abbandonata dalla famiglia, inseguita dal caricaturale figlio di un boss che la vuole uccidere, barbona in una scuola in disuso dove subisce violenze, tradita da amica e amante, quando apparentemente risorgerà in una stanza d’appartamento abitato da «vite di scarto» (direbbe Bauman), non può che trasformarsi nell’anti-eroina designata di un mondo che a tratti si fa fumettistico – ma non per questo meno tragico. Come quando troverà il suo futuro compagno, ubriaco e sudicio, dentro un bidone dell’immondizia (fa la netturbina e gli effluvi maleodoranti le si attaccano addosso, condannandola a essere rifiuto urbano lei stessa). Maria ha notato una mano che spuntava dal cassonetto, ma il romanzo non prende la direzione di una trama splatter. Non è un cadavere, ma un’altra «vita di scarto» da soccorrere, una promessa d’amore effimera.
Schiavone è nato a Torino nel 1980, lavora per Feltrinelli e nel corso del tempo ha pubblicato La libreria dell’armadillo (Rizzoli), Dolcissima abitudine e Ogni spazio felice (Guanda). Ha pure una consuetudine con il linguaggio «visivo» delle graphic novel avendo affrontato in questa forma le biografie di Belushi e Simenon e, in questo romanzo, sfodera una scrittura puntigliosa e insieme poetico-surreale che rende quotidiana l’eccentricità dei suoi personaggi, insistendo sulla finzione letteraria e sul gioco narrativo a incastri.

ANCHE IL TITOLO Non esisto allude, oltre che al disagio dell’isolamento che ognuno sconta ferocemente a modo suo, a un fantomatico agitarsi di persone inafferrabili, pronte a svanire al risveglio del lettore/lettrice. Per questo motivo, la storia non ha alcuna velleità sociologica pur pescando nelle periferie dell’immaginario, in quelle zone d’ombra in cui Maria riesce a rendersi visibile grazie alla sua stessa luce. Che però fa male.