I primi racconti di Marco Marrucci sono apparsi qualche anno fa, non c’era ancora un libro, c’erano dei fogli A4, oppure si poteva leggere qualcosa sul web che annunciava una sua raccolta di storie brevi come novità in uscita per l’anno a venire. Le anticipazioni condensate in un paio di testi sarebbero poi confluite in Ovunque sulla terra gli uomini (Racconti edizioni, 2018). In quelle vicende si muovevano personaggi indefiniti, misteriosi, disposti a rivelarci il mondo, facendoci scivolare insieme a loro in un abisso appresso all’altro, si rimaneva sorpresi e incantati.

TENENDO PRESENTE quello stupore, si attendeva l’uscita del secondo lavoro di Marrucci arrivato in questo 2021, con il titolo musicale di Novena, sempre per la geniale e intraprendente casa editrice romana Racconti (pp. 128, euro 14). I nove racconti confermano il talento colto e visionario di Marrucci e ne identificano una traccia programmatica che cerca nuovi scenari e trame che fuggano dal tessuto ordinario, ma che cercano un cuneo, un pertugio, una cerniera, un’ombra di straordinario nel caos che sempre nasce dalla routine, che questa si generi in Antartide, nell’isolamento di tre ricercatori o in un bar di una città tedesca: «Il nostro destino era comandato dalla nostalgia e dal disarmo».

RISPETTO AL PRIMO LIBRO, Marrucci scende nel territorio della narrazione pura, non si accontenta più dello sgomento ma ha bisogno che la storia sia parte di quel disorientamento: Novena presenta personaggi e fatti nitidi ma che sembrano dipendere da una visione, da una tensione che va verso uno scarto, un movimento a perdere, un’azione improvvisa, una paura, un sussurro, un bisbiglio, una crepa.

Il primo racconto ambientato in Antartide apre la liturgia da seguire nel libro, è affascinante, misterioso, evoca un suono che si ascolta soltanto a certe latitudini e fantasmi che scorge chi passa molte ore da solo; è bellissimo, azzardiamo, ma la struttura, lo scenario fantastico, l’orecchio che il lettore deve prestare all’evolversi dei fatti, ricordano sfumature di quello che è uno dei maggiori scrittori italiani, Daniele Del Giudice. Il modo di Marrucci in tutta la Novena fa pensare a quella scrittura magica, complessa e semplice quanto una meccanica divina, che è sempre emersa dalle pagine di Del Giudice, appunto. Per ogni storia c’è un luogo diverso, sempre distantissimo dal precedente, così come la vicenda che ogni volta riparte da uno spartito nuovo.

Marrucci a volte fa pensare ai processi di Kafka, altre a quelli dei migliori racconti di fantascienza, altre ancora non fa pensare a niente perché da lettori siamo costretti semplicemente a registrare l’incanto. «Nel torpore e nel dormiveglia che talora precede il sonno ho visto fiammeggiare una coppia di braci rosse». Un uomo si trova bloccato nella gabbia dei suoi cani, che da fuori minacciosi non lo riconoscono, un altro s’angoscia dopo un malanno preso in un bar e decide di vendicarsi, nella notte di Torino un ragazzo si muove in una specie di nebbia ritornando a casa, e la città lo avvolge più con i ricordi che con le case, più con i desideri che con l’umidità, una donna prima di andare in scena segue un rito di origini antiche, altrimenti tutto crollerà.

Bisogna essere molto attenti, seguire i cerchi nei quali queste nove storie si allargano. Che si tratti di minacce, di allucinazioni, di persone o animali che siano domestici o appartenenti al mito; che le azioni siano miserevoli o dolorose, senza ragione o con mille motivi, che un oggetto conduca il gioco, che un rito lo indirizzi, che un silenzio lo sciolga, l’autore fa girare tutto intorno a un vuoto, arriveremo al punto in cui qualcosa sembrerà scivolarci via dagli occhi e dalle mani, e lì sentiremo la voce di un’assenza che è il preciso momento nel quale si chiudono queste storie.

MARCO MARRUCCI ha uno stile che diventa sempre più riconoscibile, un modo di scrivere mai banale e, per questo motivo, accogliente. Sta in un territorio ondulato che va dalla pietra al magico, dal ghiaccio al serpente, dalla polvere alla luce di una lampada, da fantasmi in luoghi remoti a tenui presenze su strade cittadine; un territorio dove è piacevole passare, fermarsi e magari ritornare.