La montagna è stata in passato rifugio, opportunità occupazionale e risorsa da sfruttare, mentre oggi è soprattutto patrimonio da recuperare e valorizzare. Le vette e i boschi del Basso Trentino non sono solo un territorio ampiamente pubblicizzato che regala panorami da sogno in cresta e itinerari di superficie adatti al turismo outdoor, ma raccontano una storia – molto più nascosta – di operosità, ingegno civile e genio militare, oggi a volte coniugato e sviluppato in ambito turistico e perfino sportivo.

PARTICOLARMENTE NOTO a livello internazionale è il Sentiero della Pace, un itinerario di oltre 500 chilometri che collega lo Stelvio alla Marmolada, realizzato recuperando i sentieri della Grande Guerra. Nel tratto dell’Alto Garda particolarmente sviluppati sono non soltanto i camminamenti e le trincee, ma vere e proprie grotte e cunicoli scavati nel ventre della montagna. L’esempio più importante a quote relativamente basse riguarda Cima Rocca: la roccaforte austroungarica a difesa del confine sud dell’impero permetteva di vigilare sul lago di Garda e di chiudere l’accesso ai nemici sul fronte bresciano. I militari ricavarono all’interno della montagna gallerie e postazioni per centinaia di metri, cunicoli che oggi sono completamente percorribili grazie al lavoro di recupero delle amministrazioni. È così possibile raggiungere la cima del monte fin dalla partenza cittadina a Riva del Garda: si sale per chilometri di sentieri, trincee, esposte ferrate (facile ma molto panoramica la F.Susatti) e infine gallerie che portano alla vetta della montagna attraverso la sua «pancia», da percorrere con un sufficiente allenamento fisico e senza dimenticare una buona lampada frontale.

SE MOLTO E’ STATO recuperato, in Trentino c’è tutt’ora molto lavoro da fare per rendere agibili in salute e sicurezza tanti altri siti di un passato affascinante ma per certi versi anche tremendo. Rimanendo in zona, la val di Ledro a inizio ’800 fu teatro di una scoperta al tempo eccezionale: nel 1816 Pier Antonio Cassoni – primo al mondo – riuscì a produrre in laboratorio il carbonato di magnesio dalla dolomite. In seguito alla scoperta del chimico, verso metà secolo vennero aperte miniere nella zona soprastante Pieve di Ledro e impianti in valle per una produzione fino a 30-35 quintali al giorno. Dalle bianche rocce veniva estratto il carbonato usato principalmente come farmaco. La magnesia era infatti un ottimo digestivo diluito con acqua: Dolomina era il marchio di fabbrica del medicinale che venne prodotto per svariati decenni negli impianti della valle. In un periodo di grande isolamento della valle montana rispetto al fondovalle trentino – per mancanza di strade di collegamento – e al lontano bresciano, l’invenzione di un chimico contribuì alla sopravvivenza e allo sviluppo dell’economia locale.

UN SECOLO PIU’ TARDI purtroppo la magnesia – mescolata con l’amianto – servì anche per la produzione di isolanti da costruzione: le stesse fabbriche che avevano garantito occupazione portarono a malattie e morti per tumore tra i lavoratori ledrensi. Oggi le cave di magnesio di Besta sono il luogo dove è stata sepolta parte di quella polvere di amianto e la bellezza del luogo contrasta con l’impiego del sito.

La Provincia di Trento, con 1107 cave dismesse presenti su un territorio di estensione ridotta, racconta di una regione che come poche altre ha vissuto di estrazione: di questi siti 323 sono stati rinaturalizzati in bosco o prato, 112 convertiti (dati aggiornati al 2016). In alcuni casi il cambiamento si è sviluppato in direzioni totalmente impronosticabili solo tre decenni fa: è il caso delle cave di oolite nel bosco Caproni sopra Arco. Scavate profondamente nella roccia del dosso di Vastrè, queste grotte si presentano come grandiosi antri oscuri, dove per non far crollare il tetto i cavatori avevano mantenuto una serie di grandi colonne di roccia.

IN QUESTE CAVE si estraeva una pietra calcarea, particolarmente adatta a essere lavorata per produrre statue, abbellire le sommità delle colonne, realizzare altari o capitelli. Con questa pietra sono state scolpite le statue che ornano il ponte Taro a Parma, la fontana di Piazza Duomo a Trento, le statue di Prato della Valle a Padova e quella del Mosè di Arco.

OGGI L’AMMINISTRAZIONE ha recuperato i sentieri che portano alla cave e al castagneto soprastante, ma l’aspetto più sorprendente riguarda l’utilizzo sportivo dell’area, nato spontaneamente a fine anni ’80. Prospiciente alle cave è presente infatti la falesia del Policromuro, una della prime e più famose aree dedicate all’arrampicata sportiva. La splendida roccia calcarea – che varia in tonalità dal rosso, al bianco, al grigio – domina il paesaggio sugli oliveti per un’arrampicata tecnica, verticale, intuita al tempo dai primi salitori. Nei primissimi anni ’90 lo scalatore Manfred Stuffer andò oltre e aprì direttamente dentro la grotta la prima via strapiombante della valle: con una difficoltà di 9a, raggiunse il primato di difficoltà sull’intero territorio italiano. Underground è un itinerario che si sviluppa proprio sul tetto del sito estrattivo e che rappresentò per almeno un decennio una delle vie più complesse al mondo.

NEL CORSO DEGLI ANNI altri itinerari – alcuni ancora più complessi – sono stati tracciati all’interno della cava di oolite. Oggi il settore Pueblo è diventato uno dei luoghi ritrovo del gotha dell’arrampicata mondiale, non che fiore all’occhiello di una località che sull’arrampicata sportiva incentra una buona fetta di una ricca economia legata al turismo sportivo.