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Perché Salvini aspetta il Molise

Nel centrodestra volano gli stracci. Berlusconi con gli insulti a M5S ha scaricato Salvini. Con una delle sue usuali giravolte, ha poi prestato omaggio alla leadership del leghista. Ma potrebbe […]

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 22 aprile 2018

Nel centrodestra volano gli stracci. Berlusconi con gli insulti a M5S ha scaricato Salvini. Con una delle sue usuali giravolte, ha poi prestato omaggio alla leadership del leghista. Ma potrebbe essere tardi.

È possibile che nulla di decisivo accada prima delle elezioni regionali in Molise e in Friuli, dalle quali ormai si attende una conferma non tanto dell’esito del 4 marzo tra i principali attori, quanto una indicazione sulla partita interna al centrodestra.

La campana per Berlusconi suonerebbe davvero se la Lega dovesse ancora avvantaggiarsi nei confronti di FI. Potrebbero allora maturare le condizioni per uno strappo di Salvini e per una sua corsa solitaria su Palazzo Chigi. Sarebbe il segnale che l’opa su FI procede con successo.

La vicenda in atto ha presentato scenari inediti, che in buona parte vengono dalla pessima legge elettorale voluta da alcuni apprendisti stregoni. Già era esilarante che fossero eletti – grazie alle liste bloccate e al voto congiunto – candidati formalmente ripudiati dalla forza politica di appartenenza. Poi abbiamo visto la contesa – la cui dignità è davvero difficile cogliere – su chi ha vinto e ha titolo prevalente per lo scranno più alto di Palazzo Chigi. È l’esito del veleno iniettato dal mantra ultraventennale che si vota per eleggere un premier e un governo.

Probabilmente, non avremmo avuto un mese e mezzo di sterile guerra di posizione assumendo la diversa premessa che si vota per una rappresentanza parlamentare.

Lo stesso veleno produce oggi l’alto lamento di autorevoli commentatori sulla necessità di una legge elettorale che dia una maggioranza certa. Ancora non si vuole prendere atto che in un sistema non più bipolare nessun artificio di sistema elettorale può dare maggioranze immediate e certe senza scardinare la rappresentatività delle assemblee e l’uguaglianza del voto. Un prezzo incompatibile con l’essenza stessa della democrazia. Non è controcorrente insistere oggi per un sistema elettorale proporzionale in una forma parlamentare di governo pienamente restaurata. È la scelta più razionale.

È uno scherzo della storia che pesi ora sulla crisi in atto il risultato del voto regionale. Il sistema elettorale del Molise è un buon esempio di quel che sognano i fautori delle maggioranze certe e immediate. Infatti, la l. reg. 20/2017 (come mod. dall’art. 17 l. reg. 1/2018) dispone (art. 11) che alla coalizione o lista collegata al candidato presidente vincente vanno almeno 12 seggi, senza alcuna previsione di soglia per il premio di maggioranza, e non più di 14. A tutte le altre liste o coalizioni vanno da un minimo di sei a un massimo di 8 seggi. Alle coalizioni o liste collegate a un candidato presidente che prende meno dell’8% dei voti non va alcun seggio. È vietato il voto disgiunto (art. 10). Un vero trionfo per la rappresentatività dell’assemblea elettiva e il voto libero e uguale. E per l’ovvia incostituzionalità.

Normalmente, una piccola realtà come il Molise peserebbe poco o nulla sulla politica nazionale. Può darsi che in questa particolarissima occasione abbia un peso sul rapporto M5S-centrodestra. Quanto al Pd, giace tuttora nella irrilevanza politica imposta da Renzi. Si sente dire di un favor di Mattarella per uno scenario M5S-Pd. Non crediamo a un attivismo del capo dello Stato in qualsiasi direzione. Mattarella sa che qualunque sua scelta pesante e tale da influenzare decisivamente il corso della crisi lo esporrebbe all’accusa di aver voluto disattendere la volontà degli elettori. Ciò accadrebbe se aiutasse uno dei perdenti – il Pd – a tornare a Palazzo Chigi. Quindi, farà di tutto per far venire dalle forze politiche una indicazione – quale che sia – con un minimo di plausibilità e numeri parlamentari sufficienti. Diversamente, non terrà a lungo in vita una legislatura in coma irreversibile.

Intanto, ci permettiamo di avanzare una modesta proposta. In questo paese chi lascia una presidenza viene etichettato come emerito, anche se nessuna norma prevede tale titolo.

Abbiamo persino un papa emerito. Suggeriamo che la prossima legge elettorale preveda il titolo di presidente emerito per i candidati premier di lista o coalizione più votati che poi falliscono l’obiettivo di Palazzo Chigi. Con i tempi che corrono, per la tranquillità degli spiriti è già qualcosa.

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