Dobbiamo smetterla di guardare con fatalismo agli episodi di maltempo che si ripetono nel territorio italiano. Come se piogge abbondanti e ondate di calore debbano produrre inevitabilmente devastazioni in ogni parte d’Italia e non ci fosse nulla da fare, se non riparare i danni.

È un errore che non possiamo permetterci, che stiamo pagando a caro prezzo e che in uno scenario di cambiamenti climatici legati all’innalzamento delle temperature il nostro Paese rischia, secondo tutti gli studi scientifici, di veder peggiorare le conseguenze che pagheranno a caro prezzo soprattutto coloro che sono più poveri, che vivono in condizioni di precarietà e disagio. Intanto, è in aumento il numero di fenomeni di piogge intense, allagamenti, trombe d’aria con danni alle infrastrutture e ai beni storici, blackout elettrici e lo stop di metropolitane e treni.

La descrizione di questo scenario è raccontata nell’ultimo Rapporto dell’Osservatorio città clima di Legambiente presentato ieri. I numeri parlano chiaro: dal 2010 sono avvenuti quasi mille fenomeni meteorologici che hanno prodotto danni in 507 Comuni. La buona notizia è che sappiamo quali sono i territori più a rischio, i luoghi dove si sono ripetuti più volte – e dove quindi intervenire per scongiurare che avvenga di nuovo – attraverso una mappatura disponibile sul portale cittaclima.it, che potrebbe essere preziosa per un cambio delle politiche.

In teoria sappiamo anche cosa fare, perché prevenire è meglio che rincorrere i danni dopo che sono avvenuti e sono tanti gli esempi raccontati nel rapporto di interventi, in Italia e all’estero, dove si è scongiurato alluvioni, evitato esondazioni e ridotto i danni grazie a interventi di adattamento di fiumi, piazze e strade a un clima che sta già cambiando. Di sicuro è ora il tempo delle scelte, prima che sia troppo tardi, e non dobbiamo sprecare le risorse che l’Europa ci metterà a disposizione per uscire dalla crisi del Covid intervenendo anche rispetto a questo scenario.

Il problema è che non siamo ancora pronti, siamo infatti l’unico grande Paese europeo senza un piano di adattamento al clima, ossia lo strumento che dovrebbe fissare le priorità di intervento e quindi individuare i progetti da far partire nelle aree più a rischio. Per ora stiamo facendo il contrario, con interventi che procedono senza che sia chiaro perché sono stati selezionati e cantieri dai tempi infiniti. Soprattutto, continuiamo a spendere male: dal 2013 per rincorrere le emergenze sono stati investiti una media di 2 miliardi all’anno mentre per gli interventi di prevenzione solo 260 milioni, in un rapporto di oltre 6 a 1 che è la causa dei nostri problemi. Per fortuna l’Europa prima di rendere disponibili le risorse pretende che nel Recovery Plan ogni Paese chiarisca riforme e priorità che vuole portare avanti. Da noi vorrebbe dire soprattutto aiutare i Comuni e le Autorità di distretto idrografico a individuare i progetti più urgenti e a finanziarli, con benefici sia economici che ambientali.

Mettere in sicurezza fiumi, piazze e strade vuol dire infatti aprire migliaia di cantieri diffusi capaci di rendere più sicuri e accoglienti gli spazi delle città, togliendo asfalto e piantando alberi. La sfida climatica, se affrontata con le chiavi giuste, può diventare una straordinaria opportunità di cambiamento in positivo per il nostro Paese. Facciamoci trovare pronti.

* vicepresidente Legambiente