Finalmente si è cominciato a parlare di autonomia differenziata e dei suoi effetti dirompenti sulla stessa unità del paese, ma poco ancora si parla delle ricadute sul Servizio sanitario nazionale (Ssn).
Il malfunzionamento è responsabilità politica dei vari governi che in questi anni hanno volutamente tagliato i fondi alla sanità, oltre €37 miliardi dal 2010 al 2019, bloccato il turnover del personale, aumentato i ticket con aumento dei tempi di attesa, inaccessibilità ai servizi, disuguaglianza sempre più marcate, milioni di persone che non si curano più. Contemporaneamente, l’inefficienza voluta del Ssn ha dato forte impulso al mercato assicurativo e privato, cresciuto ad un ritmo vertiginoso con una compartecipazione dei cittadini che ormai supera i 50 miliardi di spesa (115 i miliardi di spesa per il settore pubblico).

Questo depauperamento ha penalizzato soprattutto il mezzogiorno, che presenta la più bassa spesa sanitaria pro-capite, perché da sempre Il finanziamento si basa sulla spesa storica, calcolata sull’età della popolazione. Così le regioni del Nord, con una popolazione più anziana ricevono più di quelle del Sud, con una popolazione giovane, ma con una aspettativa di vita minore e con condizioni socioeconomiche, che penalizzano salute e accesso alle cure. (La speranza di vita che in Campania è 78,9 anni per gli uomini e 83,3 anni per le donne, a Trento diventa rispettivamente di 81,6 e 86,3 anni).

Il Tit. V della Costituzione, modificato nel 2001, per consentire a tutti gli italiani di godere dello stesso livello essenziale di cure essenziali, prevedeva per lo Stato l’onere della “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantire su tutto il territorio nazionale” oltre che “la tutela dell’unità giuridica ed economica”. Ma tale intervento che avrebbe prodotto un riequilibrio della spesa a favore del Sud in 20 anni non è mai avvenuto, anche perché una redistribuzione più equa della spesa avrebbe penalizzato proprio il Nord.

Questa situazione di diseguaglianza è destinata a peggiorare con l’autonomia differenziata, poiché ciascuna regione si muoverà autonomamente e diversamente in base alla propria capacità impositiva e alle proprie politiche di spesa, giacché la sanità dovrà competere con altre materie, tanto più laddove l’autonomia sarà più spinta. La salute non sarà più un diritto uguale per cui tutti i cittadini curati con oneri a carico dello stato, mediante prelievo fiscale su base proporzionale. Il servizio pubblico dipenderà dalla distribuzione delle risorse, prevedendo anche di ricorrere ampiamente a privati e a fondi assicurativi, defiscalizzati per favorirne l’accesso.

Tutti gli aspetti della sanità saranno toccati, dalle politiche del personale non più tutelato da un unico contratto nazionale alle scuole di specializzazione, perché ogni regione avrà le proprie, con specialisti formati secondo standard nazionali uniformi ed altri con standard formativi minimi per supplire alle carenze.
Diversamente sarà la disponibilità di nuove tecnologie e farmaci, con aumento della capacità di attrazione di pazienti provenienti dalle regioni più svantaggiate; diversi i parametri di qualità e controllo degli alimenti; diversità di indirizzi per la tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro, con ulteriore rilassamento nella vigilanza e rischio che ci si affidi a politiche sanzionatorie – meno onerose per gli le imprese. Per arrivare alla psichiatria dove si ha in animo di rivedere la legge Basaglia.

Nelle regioni del mezzogiorno, già sotto finanziate e penalizzate dal Titolo V, si prospetta il tracollo della sanità pubblica: ridotti o annullati i trasferimenti da parte di uno Stato. Il personale più qualificato sarà attratto dalle Regioni più attrezzate, verso cui aumenterà ulteriormente anche la mobilità sanitaria: il Nord, che già ora drena oltre 4.3 miliardi provenienti per la maggior parte da Sud e isole, si arricchirà alle spese di un Sud abbandonato a se stesso.

Le reazioni del mondo della sanità pubblica, delle organizzazioni sindacali, dei partiti e dei media, non sono all’altezza del grande inganno. Scarse le reazioni dell’opinione pubblica, all’oscuro di una strategia condotta in segreto da quasi due anni. Forse qualcuno pensa di poter così salvare l’universalismo dalla Sanità nei propri territori, dimenticando che è attraverso la solidarietà che si ottengono i migliori risultati con una spesa minore.
Scarse anche le reazioni delle regioni del Sud, le più penalizzate: se pensano, di poter contare su una propria rinascita, con quali forze e con quale classe dirigente certo non potranno farlo con quella che ha governato finora.