L’American Medical Association ha raccomandato le autorità statunitensi di inserire i detenuti tra le categorie da vaccinare prioritariamente. Negli Usa i diciannove focolai più consistenti sono avvenuti in altrettante prigioni. Le cattive condizioni di vita e il sovraffollamento hanno aggravato il problema. Il Comitato consultivo del Centers for Disease Control and Disease Prevention ha sostanzialmente lasciato ai governi statali la possibilità di vaccinare i detenuti tra i primi gruppi sociali.

Il Governatore democratico del New Jersey Phil Murphy, poco preoccupato della reazione isterica dei repubblicani di Trump, ha autorizzato la vaccinazione dei detenuti. Ha seguito le indicazioni della scienza e del buon senso, senza farsi dettare le priorità dal circolo vizioso mediatico-politico che si era schierato contro di lui.

È partito dalla South Woods State Prison di Bridgeton, la più grande struttura penitenziaria dello Stato. Decine di migliaia di detenuti nel Massachusettes sono stati tra i primi a essere vaccinati nello Stato contro il coronavirus. Anche i prigionieri di Connecticut, Delaware, Maryland, Nebraska e New Mexico sono stati inseriti nella prima fascia. In Canada alcune centinaia di detenuti ristretti nelle carceri federali hanno cominciato a ricevere i vaccini Covid-19 nell’ambito di un progetto pilota.

Si è scatenato un putiferio populista contro il governo canadese. Il ministro della Pubblica Sicurezza Bill Blair ha difeso l’approccio del governo federale affermando perentoriamente che il linguaggio del risentimento e della paura non deve avere posto in questa discussione.

Dunque non si tema il linguaggio della paura e dell’odio e si aprano le carceri al vaccino per detenuti e staff penitenziario nel più breve tempo possibile. Si segua quanto autorevolmente richiesto dalla senatrice a vita Liliana Segre e dal Garante Nazionale Mauro Palma.

Secondo i dati forniti dall’Amministrazione Penitenziaria vi sono ad oggi 109 positivi nel carcere milanese di Bollate, 59 nell’altro carcere milanese di San Vittore, 54 a Roma Rebibbia NC, 35 nell’altro carcere romano di Regina Coeli, 53 a Sulmona, 40 a Secondigliano e a 40 a Palermo, 29 a Lanciano. Tanti focolai per un totale di 718 detenuti positivi ai quali vanno aggiunti altri 701 operatori penitenziari.

Perché la comunità penitenziaria va inserita nelle fasce di popolazione a cui destinare prioritariamente il vaccino? Per due ragioni, una delle quali riguarda la salute pubblica e l’altra l’etica dei diritti umani.

Il carcere è un luogo dove purtroppo si vive affollati, dove è complicatissimo mantenere le distanze, dove le condizioni igienico-sanitarie non sono sempre ottimali. La galera, in quanto focolaio tipico, determina la sottrazione di energie mediche ai bisogni della comunità libera. A partire da marzo i detenuti sono stati costretti a vivere in uno stato di isolamento che si è andato a sommare a quello prodotto dalla carcerazione.

Paura e solitudine hanno reso la pena ben più afflittiva rispetto a quella già ordinariamente sofferta. La vaccinazione di staff e detenuti consentirebbe la ripresa di una vita oggi ferma. Vaccinare i detenuti non è poi operazione complessa. Ad esempio i circa 1.300 detenuti di Bollate li si potrebbe vaccinare in poco tempo girando per le celle. Per questo ci rivolgiamo al Comitato Tecnico Scientifico del Ministero della Salute affinché, attraverso la somministrazione del vaccino, restituisca alla vita i detenuti, le loro famiglie, i lavoratori delle carceri. E ci rivolgiamo al Ministro della Salute Roberto Speranza affinché faccia sue le parole coraggiose del suo collega canadese.

* presidente Antigone