In uno stesso giorno, giovedì 19 scorso, abbiamo avuto una sorta di doccia scozzese: abbiamo assistito, insieme, a una splendida lezione di vita e di umanità e a uno spettacolo ambiguo e tutto sommato insoddisfacente.
Cominciamo dal secondo: l’approvazione alla Camera, con una maggioranza molto stretta e parecchie riserve, della legge sull’omofobia: in un clima a dir poco di tensione, di reciproche recriminazioni, di mancanza di chiarezza.
Nessuno ha notato come sia triste il fatto che, dopo quasi sette decenni di democrazia in un paese libero, ci sia stato bisogno di una legge – che peraltro rischia di essere stoppata in Senato – per affermare un principio che dovrebbe essere ovvio e spontaneo: il diritto di tutti alla libertà di coscienza e il dovere di ciascuno di rispettare gli altri e, al tempo stesso, di restare fedele alla propria visione del mondo. Senza ipocrisia, senza isterismi, con onestà e correttezza; senza bisogno di sfiorare il rischio del reato d’opinione, rispetto al quale si è andati molto vicini (e non conviene a nessuno, oltre a essere infame).
A fronte di quest’ambiguità che una volta di più ci viene dalla politica, ecco una voce di chiarezza e di coraggio che – come accadde l’8 luglio scorso a Lampedusa – si arriva dal papa e dalla limpida, semplice, stupefacente intervista da lui rilasciata a Civiltà cattolica, la rivista storica della «sua» Compagnia di Gesù.
Non c’è dubbio che questa intervista farà scandalo in alcuni ambienti cattolici sempre più profondamente segnati dal pregiudizio, dall’arroganza e dalla chiusura mentale. Ma è un fatto che essa letteralmente ribalta quella che, rispetto al Concilio Vaticano II, era la paura di Jacques Maritain: che cioè la Chiesa «s’inginocchiasse al mondo». Al contrario, papa Francesco propone una comunità dei fedeli di Cristo che sia «sale della terra», che si collochi all’avanguardia nelle sfide al futuro; che indichi modelli, che proponga obiettivi. E ciò alla luce dei tre princìpi che stanno alla base del cristianesimo, le tre «Virtù teologali»: Fede, Speranza, Carità.
Fede: che dev’essere vissuta intensamente e coerentemente da chi la possiede, senza la volontà d’imporla a nessuno ma nella coscienza profonda di doverla rendere viva, attuale, concreta nella vita di ogni giorno. «Io vedo la santità del popolo di Dio, la sua santità quotidiana: una donna che fa crescere i figli, un uomo che lavora per portare a casa il pane, gli ammalati, i preti anziani che hanno tante ferite ma che hanno il sorriso perché hanno servito il Signore, le suore che lavorano tanto e che vivono in una comunità nascosta. Questa per me è la santità comune». Fede che per il cristiano implica la fedeltà alla gerarchia, ma anche la consapevolezza che alla Fine dei Tempi saremo giudicati per le nostre azioni al servizio del prossimo, non per la nostra religiosità formale o per la severità con cui abbiamo guardato alle debolezze altrui.
Speranza: che risiede nella consapevolezza che Dio sta nella vita di ciascuno di noi, che non c’è errore o peccato tanto grande da dover condannare alla disperazione. Qui il papa si pone dinanzi a chi abbandona la fede e la Chiesa perché le sente troppo alte, o troppo dure, o troppo chiuse. «Invece di essere solo una Chiesa che accoglie e che riceve tenendo le porte aperte, cerchiamo pure di essere una Chiesa che trova nuove strade, che è capace di uscire da se stessa e andare verso chi non la frequenta, chi se n’è andato o è indifferente. Chi se n’è andato, a volte lo ha fatto per ragioni che, se ben comprese e valutate, possono portare a un ritorno. Ma ci vuole audacia, coraggio». Papa Francesco ha dinanzi agli occhi, per diretta esperienza, lo spettacolo dell’apostasia dal cattolicesimo d’intere folle, specie in Africa e in America latina: folle che magari si sono rivolte alle sètte protestanti. E pensa ai cristiani che vivono sulla loro pelle situazioni complesse: ai divorziati, agli omosessuali, alle tante donne e ragazze che avrebbero voluto un bambino ma che si sono trovate – magari sbagliando valutazione – a «dover» abortire perché si sono sentite rifiutate e abbandonate. Il papa chiama queste persone «feriti sociali»: e ripete, con Gesù e con Francesco d’Assisi, che non sono i sani, bensì gli ammalati ad aver bisogno del medico.
La Carità: cioè l’amore, la compassione come capacità di «sentire e soffrire con gli altri», la misericordia. Questo papa ch’è stato cappellano militare e che appartiene a un sodalizio religioso fondato da un guerriero non teme di ricorrere a immagini forti: «Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo o gli zuccheri alti! Si debbono curare le sue ferite: poi potremo parlare di tutto il resto. Curare le ferite, curare le ferite…Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi».
Un’impeccabile lezione di coraggio e di concretezza contro ogni ipocrisia, contro ogni falso e malinteso rigorismo, contro tutti – parole sue – i «desideri di ordine inteso come pura conservazione, difesa. No. Dio va incontrato nell’oggi».
Da questa bella intervista nasce una visione della Chiesa al tempo stesso antichissima, profondamente fedele a se stessa e al tempo stesso concretamente innovativa. Con i cristiani di altra confessione, non preoccuparsi di egemonie o di consuetudini: ad esempio, senza rinunziare al primato di Pietro, i cattolici hanno molto da imparare dagli ortodossi in termini di collegialità; e, quanto alle prospettive di riunione delle Chiese, «dobbiamo camminare uniti nelle differenze». Ma le vere sfide cui rispondere sono quelle di tutto il genere umano nel mondo di oggi. Le sperequazioni profonde e diffuse, gli squilibri determinati dagli egoismi e dall’accumulo di potere e di denaro nelle mani di pochi, la fame e le malattie che colpiscono milioni di persone e alle quali si rimedierebbe con un po’ di giustizia sociale, i pericoli di guerre alla base delle quali stanno – e lui lo aveva già denunziato con forza all’Angelus dell’8 settembre scorso – le esigenze da parte di alcune potenze e di alcune lobbies di assicurarsi le vie di rifornimento energetico e d’incrementare il traffico di armi. Ecco il fronte mondiale sul quale i cattolici debbono schierarsi oggi. Ma non essi soltanto. Fede o non fede, questi sono i problemi di tutti noi. L’anziano prete argentino lo ha capito perfettamente. E gli altri?