Il topos dei topoi: coppia quarantenne, insieme dai venti, figlia adolescente, lui scappa con la più giovane lasciando debiti da pagare e miseria umana. Lei prova a reinserirsi nel mondo del lavoro ma lì dove lo aveva lasciato non c’è più e una come lei, della sua età e con quella preparazione, non può essere assunta come stagista. Nella disperazione invece che togliersi la vita si toglie gli anni, presentandosi ai colloqui come ventiseienne ed ottiene il posto. Tutto questo, e molto altro, nella serie americana Younger, ideata dal furbastro Darren Star, già autore di serie culto giovanilistiche anni Novanta (Beverly Hills 90210, Melrose Place) e per single liberate (Sex and the city).

La confezione è usuale, né migliore né peggiore di altre, il cast, composto da visi meno noti del solito, recita bene, la delineazione dei caratteri è tipica ma mai scontata. La cosa più attuale e veritiera, rappresentata in maniera perfettamente mimetica e aderente alla realtà, è la dipendenza dei giovani da Internet e, soprattutto, la spinta propulsiva di tendenza che ha il mondo virtuale sulla «real life».

Liza, la protagonista, caruccia ma niente di che, alta come un corazziere, dal sincero sorriso ipergengivale, nei primi episodi insegue, sfuggendole dalle mani come sguisciante skifidol, il volatile molteplice sorprendente utilizzo della rete, dai social network ai siti di incontro alle vendite online. Quanto può indurre un tweet a vendere un libro? Molto se lo scrive un cantante gangsta-rapper con fedina penale lurida, uno chef stellato che cucina tutto senza sale, una fashionblogger ventenne con dieci tentativi di suicidio alla spalle. Il mondo è cambiato e i quarantenni devono adeguarsi, trovare una propria collocazione. imparare a cavalcare il presente digitale.

Liza si veste imitando le ragazzine, gonna corta e gilet lungo, capelli sfrangiati e schiariti, stivaletti, vita bassa, movimenti sinuosi del corpo sfiancato da acrobatici esercizi ginnici alla moda, ma è la mente che stenta: chatta con il fidanzato tatuatore che la crede sua coetanea (davvero, spogliata, una quarantenne che ha partorito può sembrare una ventenne? datemi, adesso, il numero di Josh), comunica via Skype con la figlia in India per un anno di scambio scolastico, si fa insegnare dall’amica metrosexual a bloccare immagini scandalose di un autore della casa editrice dove lavora su tutti i siti possibili immaginabili. Ma la sua testa, il suo cuore, il suo spirito appartengono al flower power dei nati negli ’70, si sono nutriti ad edonismo reganiano, hanno gioito nei tristi musical di Broadway nei ’90, hanno figliato nei primi Duemila, smaltita la paura del millennium bug. Ma la cosa che mi fa schiumare di gelosia non è la prestanza fisica del giovane sedotto e irretito quasi involontariamente dalla protagonista, non è il graduale successo professionale ottenuto per merito sul campo, non è l’amicizia profonda e spassosa con la bionda editor, veramente young; la cosa che mi suscita incontrollabile invidia è che una quarantenne moglie separata con figlia possa DAVVERO passare per una sotto i trenta, pure agli occhi di alcune sue coetanee.

Questo piccolo paradosso affabulatorio, su cui si fonda la serie americana, è il boccone avvelenato che devo mandare giù ogni volta che vedo una puntata. Credete che al diavolo potrebbe interessare la mia anima in svendita? Qualcuno conosce il segreto di Peter Pan? Chi mi può dare i contatti di Dorian Gray? Soprattutto perché sono assillata dalla paranoia dell’età? Ora basta, devo aiutare mio figlio a fare i compiti delle vacanze. Ciao.

fabianasargentini@alice.it