Basta un sussulto dell’Istituto nazionale di statistica sull’aumento dell’occupazione a dicembre per far urlare il governo, affaccendato nelle trame quirinalizie: piove nel deserto!. Ecco il tweet di Renzi «100mila posti di lavoro in più in un mese. Bene. Ma siamo solo all’inizio. Riporteremo l’Italia a a crescere». In realtà l’aumento di 109 mila occupati è sull’ultimo anno, a dicembre è statp di 93 mila. E non può essere dovuto al Jobs Act le cui deleghe languono. Renzi ne è consapevole e si è limitato all’ottimismo di facciata, ormai tipico della sua narrazione.

La ripresa è un segno del destino. Basta un dato, e non la tendenza annuale, per far urlare 100 mila urrà davanti all’altare della Leopolda? Il verso sta cambiando, si sono complimentati anche gli attendenti del Pd dal quartier generale del Nazareno, orfano momentaneo del mentore Berlusconi: «Crescono i posti di lavoro, cala la disoccupazione, comincia a profilarsi una inversione di tendenza anche tra i giovani» ha detto Filippo Taddei, responsabile economico Pd.

L’ordinario esercizio di propaganda è stato smentito dai dati provvisori comunicati ieri dall’Istat. È vero, tra novembre e dicembre 2014 gli occupati sono cresciuti, e la disoccupazione è scesa al 12,9% (-0,4%). Ma nell’ultimo anno il tasso di quest’ultima è cresciuto di 0,3 punti. Su base annua e non mensile – cioè l’orizzonte in cui si muove il governo – il numero dei disoccupati è aumentato del 2,9%: 95 mila persone. Il numero medio degli occupati nel 2014 è inferiore rispetto a quello del 2013. In altre parole, il verso non è cambiato e invece continua nella stessa direzione.

Capire la differenza tra la congiuntura e la tendenza – cioè la variazione di un dato rispetto al mese (trimestre) o all’anno precedente – può essere un esercizio che va oltre gli interessi della propaganda di un governo che affronta una crisi di proporzioni devastanti. Leggere il bollettino dell’Istat (sette pagine) potrebbe essere utile anche per comprendere la natura dell’occupazione che si vuole creare e della disoccupazione che si vuole sconfiggere.

Il dato sensibile è quello sull’inattività. A dicembre il numero degli inattivi tra i 15 e i 64 anni è aumentato dello 0,2% rispetto a novembre, quando l’inattività aveva registrato un’analoga crescita, dopo il calo avviato ad aprile. In un anno gli inattivi sono però calati dell’1,9%. Cosa è successo allora? L’Istat attesta che il numero dei giovani occupati tra i 15 e i 24 anni continua a diminuire: 0,2%, -7 mila in un mese; 3,6%, cioè meno 34 mila in un anno. Il numero totale dei «Neet» italiani è pari a 4 milioni 382 mila. In un anno sono aumentati di 17 mila unità (+0,4%). Tra novembre e dicembre sono addirittura aumentati di 37 mila unità.

È vero che il loro tasso di disoccupazione è calato di un punto, cioè al 42%, tra novembre e dicembre. Ma il problema è il suo aumento di 0,1 punti nell’ultimo anno. Per chiarire il tentativo di depistaggio che il governo e il suo partito di maggioranza hanno cercato di fare ieri sera, basta citare questa considerazione dei tecnici dell’Istat: «Il dato di dicembre interrompe il calo di occupazione registrato per due mesi, diminuzione che di conseguenza non si è consolidata. Così come il mese di luglio non consolidò l’aumento degli occupati avuto ad aprile e maggio». Un periodo in cui Renzi celebrò le sorti delle sue riforme del lavoro (il «contratto a termine» Poletti) che anche in quel caso non erano ancora attive. «Sia quando cala l’occupazione, sia quando aumenta – continuano dall’Istat – Non basta un’unica occorrenza», ovvero il dato mensile. «Ne servono tre consecutive, affinché si possa parlare di consolidamento». Dunque: appuntamento in primavera.

Quando le delghe del Jobs Act saranno state approvate, mentre le imprese avranno continuato a licenziare i lavoratori in attesa di riassumerli con le nuove norme del contratto a tutele crescenti. Un’occasione imperdibile per incassare gli incentivi stanziati dal governo e per licenziare nuovamente i lavoratori prima della loro scadenza. È quello che sta già accadendo in molte parti d’Italia. È possibile che i prossimi dati registreranno questo andamento provocato dal Jobs Act.

Un altro aspetto di questa vicenda è l’asimmetria tra giovani e anziani provocata da un mercato del lavoro deteriorato. Confrontando i dati dell’ultimo anno sull’inattività si capisce che l’inoccupazione colpisce la fascia di popolazione attiva tra i 25 e i 44 anni, mentre diminuisce tra i 55 e i 64 anni. Prendendo sul serio le dichiarazioni del governo, si arriverebbe al paradosso che le sue «riforme» giovano ai lavoratori più che maturi e non ai giovani per i quali dice di spendersi.

Il governatore della Banca d’Italia Visco è intervenuto ieri per rimuovere questo tragico andamento e incensare il Jobs Act (e la precedente riforma Fornero): «Vanno nella giusta direzione» sostiene Visco che riconosce «i costi sociali della disoccupazione». «Il Jobs Act riduce la segmentazione tra diverse categorie di lavoratori, aumenta la flessibilità in entrata e in uscita, ampliale misure a sostegno dei lavoratori disoccupati con le politiche attive». Per l’economia italiana l’Istat ha registrato a gennaio «segnali di un possibile recupero della domanda interna», ovvero i consumi, anche se l’inflazione resterà debole nei primi sei mesi del 2015.