Quattrocento miliardi: metà a garanzia dei prestiti delle banche alle aziende italiane, metà a potenziamento dell’export. «Intervento poderoso e senza precedenti nella storia italiana», lo definisce Giuseppe Conte quando, dopo una giornata tempestosa, presenta infine il decreto liquidità. Poi sospensione del versamento dei contributi e delle cartelle anche per il prossimo mese e rafforzamento del golden power dello Stato su tutte le imprese strategiche per impedire scalate ostili o acquisizioni da parte di aziende estere.

IL PERCORSO PER VARARE il decreto è stato una via crucis. La riunione del consiglio dei ministri, fissata di buon mattino, slitta. Il week-end non è bastato. L’accordo non c’è. Conte riunisce i capidelegazione dei partiti al governo ma il vertice serve solo a chiarire che, se la situazione non è quella del «tutti contro tutti», almeno ci si avvicina.

ITALIA VIVA insiste per la garanzia totale, al 100%, dello Stato per i prestiti delle banche alle imprese. Il ministro dell’Economia Gualtieri tiene duro: le garanzie statali, nella bozza di partenza, vanno dal 70 al 90% a seconda delle dimensioni delle aziende. In parte il problema è reale, in parte è uno schermo. Un punto chiave è la «valutazione andamentale» da parte delle banche, tipica strettoia burocratica che dilaterebbe i tempi moltiplicando il rischio di ritrovarsi poi di fronte aziende già morte. Ma non c’è solo questo. A gestire la vicenda, e a offrire le garanzie per 200 miliardi alle banche, a fianco del Fondo potenziato per le Pmi, dovrebbe essere Sace, società dipendente dalla Cassa depositi e prestiti controllata dai 5 Stelle. Gualtieri vuole porla sotto controllo diretto del suo ministero. I 5S s’impuntano. Il vertice rinvia ogni decisione al consiglio dei ministri, che inizia con un’ora di ritardo e si trasforma in rissa. Risolto il nodo scuola, si arena e si aggiorna alle 16.30, poi si rinvia di altre due ore.

NEL CORSO DELLA LUNGA sospensione viene raggiunto l’accordo sulle garanzie alle banche. Per le grandi imprese la copertura dello Stato, che restituirà il prestito se le imprese non lo faranno da sole in 6 anni, copre il 90% del totale. Il prestito non potrà comunque oltrepassare il 25% del fatturato dell’anno precedente o il doppio delle spese sostenute nello stesso anno. Per le piccole e medie imprese fino a 499 dipendenti e per i professionisti la copertura è totale, ma solo al 90% statale: il restante 10% lo metteranno i privati, tramite il consorzio Confidi. Per i prestiti fino a 25mila euro la copertura statale sarà invece completa e senza bisogno di semaforo verde senza alcuna valutazione del «merito di credito». In tutti i casi dovrebbe essere eliminata la «valutazione andamentale» da parte delle banche.

SUL CASO SACE provano a stringere un’intesa a quattr’occhi Gualtieri e Luigi Di Maio. Si sparge la voce che il passaggio di Sace al ministero dell’Economia sia cosa fatta, in cambio del potenziamento del sostegno all’export. Forse è una voce infondata. Più probabilmente il braccio di ferro riprende nel secondo tempo della riunione del consiglio dei ministri, che infatti si prolunga per altre due ore. Alla fine la spuntano i 5S. Sace resta alla Cassa depositi e prestiti.

UNA GIORNATA COME quella di ieri dimostra che la pace imposta dal virus, nella maggioranza, è finita. Lo strumento attraverso cui verranno erogati gli aiuti della Ue rischia di riaccendere già da oggi le tensioni, ma in forma ben più estrema. Nel pacchetto che l’Eurogruppo dovrebbe proporre oggi e che i capi di Stato dovrebbero poi approvare, la voce più importante è il prestito del Mes, il Fondo salvastati. Per quanto light possano essere le condizioni del prestito, alcuni elementi sono però non aggirabili. Nella migliore delle ipotesi è una cambiale in bianco. «Tradimento degli italiani con complicità Pd-5S», tuona la Lega. Ma i pentastellati negano l’assenso: «Strumento inadeguato e tentativo di riservarsi per il futuro tutti gli strumenti dell’austerity».

LA FRANCIA, IERI, ha minacciato di bloccare l’intero progetto se il Fondo europeo, cioè la richiesta partita proprio dall’Italia, non farà parte del pacchetto iniziale di proposte. La partita non è dunque ancora chiusa ma se alla fine l’Italia si troverà di fronte alla proposta secca di ricorrere al Mes, la burrasca nella politica italiana e anche all’interno del governo sarà inevitabile.