Sono solo 700mila elettori, «meno che nella provincia di Lecce», come ha fatto notare con scarso buongusto il presidente del consiglio. La prova umbra, al contrario di quanto sostenuto da Giuseppe Conte, non è però affatto secondaria e per una volta l’indicatore più importante sarà quello che di solito si guarda di sfuggita, al quale prestano attenzione solo i professionisti: il numero dei voti reali ottenuti da Pd e Movimento 5 Stelle.

La vittoria o la sconfitta naturalmente è elemento rilevante. Però non decisivo. Quando si parte con i pronostici tutti contrari, anche solo giocarsela diventa un successo. Certo, si tratta dell’Umbria «dove da 50 anni vince la sinistra», come ha ripetuto anche ieri, violando come d’abitudine il silenzio elettorale, Matteo Salvini. In un momento diverso avrebbe avuto ragione e l’eventuale conquista dell’Umbria, anche per un solo voto, avrebbe provocato sconquassi. Non ora. Non dopo gli scandali che hanno maciullato il Pd regionale. Non con una destra la cui avanzata è stata certamente fermata in parlamento ma, sino a prova contraria, non ancora nel Paese. Una sconfitta di misura sarebbe salutata al Nazareno – ma anche in un Movimento 5 Stelle che sa quanto la nuova alleanza vada storta alla base umbra – con brindisi festosi.

Lo scarto, in caso di vittoria della destra, sarà importante almeno quanto il risultato. E ancora di più lo saranno le percentuali delle liste che sostengono Vincenzo Bianconi . Alle elezioni europee, sommati, Partito democratico e 5 Stelle raggiungevano il 39%, 25% il Pd, 14% i 5S. Scendere sotto quella soglia sarebbe un segnale più che allarmante. Non ancora quello decisivo. I veri conti si faranno, per una volta, non sulle percentuali, influenzate come sono da una quantità di fattori a partire dalla comprensibile disaffezione dell’elettorato umbro, destinata probabilmente a tradursi in astensione. I conti si faranno sui voti concreti e sonanti.

Sarà da quelli, più che dall’esito della gara, dallo scarto e dalle percentuali, che i due partiti inizieranno a interrogarsi sull’utilità o meno di presentarsi uniti prima nella raffica di elezioni regionali in agenda, poi alle politiche. Saranno quelli a orientare gli umori di Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio a favore di un sistema elettorale maggioritario o proporzionale. Se il numero degli elettori dell’una o dell’altra lista aumenterà o resterà sostanzialmente identico, la marcia verso la creazione di una coalizione politica e non più solo «di fortuna», come è ancora oggi, prenderà la rincorsa e le quotazioni del maggioritario si impenneranno. Se l’esito sarà di segno vistosamente opposto per entrambi o anche per uno dei due partiti tutto diventerà più difficile.

Non significa che il governo Conte rischi di cadere per le elezioni umbre, anche se uscirebbe certamente indebolito da un esisto molto negativo. Non significa neppure che il disegno unitario di Dario Franceschini, il vero regista della politica del Pd dal 9 agosto in poi, finirebbe arenato. Ma di sicuro incontrerebbe difficoltà molto maggiori. Non è un segreto che la soluzione della crisi sia stata accolta nella migliore delle ipotesi con tepore sia da Zingaretti che da Di Maio.

Entrambi i leader sono stati se non proprio costretti certo vigorosamente sospinti. Dal voto di oggi dipenderà con quanta forza proveranno ora a imporsi nei loro rispettivi partiti. Dove per «imporsi» non si allude a spallate di sorta contro il governo ma al pretendere una linea diversa dall’attuale «a ogni costo».

Anche Matteo Renzi guarderà con massima attenzione il risultato degli alleati. Se non sarà brillante, moltiplicherà gli atti di guerriglia, pronto come è ad addossare proprio alla loro politica non abbastanza «coraggiosa» la responsabilità di quel risultato. Se sarà confortante, tenterà di accreditarsene il merito, essendo il vero artefice con Beppe Grillo e Dario Franceschini di questa maggioranza. Ma lo farà a denti stretti perché nessuno più di lui, oggi, teme l’accelerazione verso una legge elettorale maggioritaria che un buon risultato in Umbria certamente determinerebbe.

Ma i conti non sono tutto. La tenuta nervosa pesa altrettanto. Quello di oggi è il primo test nel quale a esprimersi sulla nuova maggioranza saranno gli elettori e non i commentatori. Pretendere che sia privo di ricadute sul morale di ufficiali e truppe sarebbe chiedere troppo.