La strage sul lavoro di Adria è insieme lo specchio del «modello veneto» e del lato B della green economy a Nord Est. I quattro morti alla Co.Im.Po. non sono soltanto vittime di un «tragico incidente», ma la conseguenza tutt’altro che inevitabile nella nicchia economica a cavallo fra trasporti eccezionali, smaltimento di rifiuti speciali, immobiliarismo spicciolo e vocazione imprenditoriale al fai-da-te.

La Procura della Repubblica già indaga l’intero vertice dell’azienda di via America 7 nella frazione Ca’ Emo di Adria, insieme al titolare della mega-vasca di trattamento che ha innescato la micidiale reazione chimica. Oggi sono previste le autopsie indispensabili a certificare i dettagli della morte dei tre dipendenti (Nicolò Bellato, 28 anni, e Paolo Valesella, 53 anni, entrambi di Adria; Marco Berti, 47enne veneziano di Campolongo Maggiore) e di Giuseppe Valdan, 47 anni, che da Mira aveva guidato l’autocisterna di Psc Prima con una trentina di quintali di acido solforico.

«Che fumo…» sono state le ultime parole dell’autista lunedì mattina al cellulare. Senza maschere di protezione, versato direttamente da un tubo in vasca l’acido aveva «reagito» con i reflui. In teoria, l’operazione esige un serbatoio di stoccaggio e appositi strumenti di dosaggio durante la delicata esecuzione. In pratica, si produce l’altissima concentrazione di acido solfidrico che letteralmente toglie il respiro a tutti. Rossano Stocco (ora indagato perché l’ex carabiniere sarebbe il proprietario della vasca) indossa la maschera antigas, salvando la vita di Massimo Grotto inerme sulla ruspa finita a sbattere contro un muro. Anche Berti, figlio dell’ex titolare Co.Imp.Po., dalla telecamera degli uffici realizza cos’è accaduto. Insieme a Bellato si precipita a bordo di un furgone: scesi davanti all’autocisterna sono stroncati a pochi passi dal corpo senza vita di Valdan. A circa 300 metri verrà ritrovato dalle squadre di soccorso anche il cadavere di Valesella che aveva provato a sfuggire alla nube tossica.

Ma nella frazione di Adria, poco più di 500 anime in mezzo alla campagna polesana, la storia dell’impresa creata negli anni ’90 al posto dell’originale fattoria è ben conosciuta. È la quotidiana convivenza con gli effetti poco piacevoli del trattamento di liquame zootecnico, rifiuti speciali, scarti delle produzioni nelle industrie tessili, del pellame o del legno. Proteste, segnalazioni, lamentele ridotte ad un’eco insignificante e periferica perfino per il municipio governato da un ex pilota di rally che rincorre lo stile del centrodestra che conta davvero. Co.Im.Po. è sinonimo di Mauro Luise, 53 anni, padronicino locale che trasporta latte ma intuisce il business dello smaltimento «ambientale».

Nel 1997 ottiene l’autorizzazione per 3 mila tonnellate di «fanghi di depurazione palabili», ma dalla Provincia di Rovigo in un paio di lustri la quantità lievita oltre le 100 mila tonnellate. Nel 2003 la sentenza numero 171 del Tribunale di Rovigo confermata in Cassazione condanna Luise a 5 mila euro di ammenda per «trasporto rifiuti speciali non tossici senza veicolo idoneo». Va meglio con l’inchiesta della Procura di Forlì e lui ostenta il rombo della fuoriserie rampante, sponsorizza la squadra di calcio e frequenta il «giro giusto».

Alla fine del 2012 la Co.Im.Po. passa nelle mani di Gianni Pagnin, 63 anni di Noventa (Padova) che la amministra insieme alla figlia Alessia e a Glenda Luise, 25 anni, figlia di Mauro. All’epoca il bilancio aziendale è in rosso per quasi un milione di euro, tuttavia nel 2013 il fatturato risulta di 6,7 milioni e le perdite sono contenute a 45 mila euro. Del resto, le attività imprenditoriali delle due famiglie ricalcano le orme caratteristiche del Nord Est che fa affari. Pagnin aveva cominciato con gli spurghi, prima di dar vita a Ecologia Noventana e applicarsi al contiguo «ciclo del mattone» con l’Immobiliare G. & G. che clona anche a Timisoara. E con Luise che si è innamorato della Romania, avrebbe aperto una «succursale» sull’onda della colonizzazione affaristica nell’ottava provincia della Serenissima in versione Lega & berluscones (ma non solo…).

Questo lo scenario in cui matura la strage da lavoro nel cuore del Polesine, vera e propria “pattumiera” del Veneto. Il pm Sabrina Duò ha cominciato subito a sporcarsi le mani con la sicurezza virtuale rispetto alla legge 81, l’aziendalismo formato parrocchiale, gli ambienti tossici e le connessioni nocive…