Ecco una sentenza del Palazzaccio (non è un’imprecazione, è la sede della Cassazione e si dice proprio così) che se facesse giurisprudenza le procure di tutta Italia sarebbero sommerse da milioni e milioni di denunce. E, a occhio, sarebbe a rischio il funzionamento della macchina della giustizia di diversi paesi del globo terracqueo.

Alzi la mano, e si tappi la bocca, chi non ha pronunciato almeno una volta nella vita (o negli ultimissimi giorni) la frase che un 71enne fermato dai carabinieri si è lasciato scappare dopo essere stato beccato a bordo della sua automobile con un faro mal funzionante: “Italia, paese di m…” (per ragioni di pruderie, o forse per non avere il fiato sul collo di qualche procura, le cronache si limitano a sfumare il concetto utilizzando la lettera M).

Ma è chiaro qual è la sostanza della faccenda, e che qui in ballo ci sarebbe anche la libertà di pensiero. O forse no, perché i giudici parlano di vilipendio, reato un gradino sotto al sacrilegio, che tante vittime ha già causato nella storia.

Ma questa è solo una storiella. Eppure l’escandescenza di tipo scatologico, pur facendo leva su un linguaggio di rara sintesi ed efficacia, che la lingua italiana ha utilizzato e nobilitato nei secoli, è arrivata ad impegnare le raffinate menti giuridiche degli ermellini. Che si sono espresse in tutta la loro inflessibilità. Morale: certe frasi non si possono pronunciare, tanto più davanti ai carabinieri di Campobasso che prima ti fermano a un posto di blocco e poi ti denunciano per l’indicibile parolaccia (la Corte d’appello di Campobasso aveva già condannato l’imprecatore a una multa di mille euro, pena interamente coperta da indulto).

Ma la giustizia fa il suo corso ed ora è arrivata la sentenza della prima sezione penale del Palazzaccio. Che riportiamo senza commento, perché le sentenze non si commentano (e non ci sono più le mezze stagioni). Per i giudici il comportamento del 71enne non è accettabile perché “in un luogo pubblico ha inveito contro la nazione”, anche se “nel contesto di un’accesa contestazione elevatagli dai carabinieri”. E la libertà di espressione? “Il diritto di manifestare il proprio pensiero in qualsiasi modo – argomentano gli ermellini – non può trascendere in offese grossolane e brutali prive di alcuna correlazione con una critica obiettiva”.

Quindi, per scomodare l’articolo 291 del codice penale (reato di vilipendio), “è sufficiente una manifestazione generica di vilipendio alla nazione, da intendersi come comunità avente la stessa origine territoriale, storia, lingua e cultura, effettuata pubblicamente”.

Per la Corte Suprema il reato in esame “non consiste in atti di ostilità o violenza o in manifestazioni di odio: basta l’offesa alla nazione, cioè un’espressione di ingiuria o di disprezzo che leda il prestigio o l’onore della collettività nazionale, a prescindere dai vari sentimenti nutriti dall’autore”. Allora, senza offesa, e senza spingere, andiamo tutti a quel paese.