«Siamo persone educate, Draghi ha lavorato bene in Europa. Andiamo a sentire cosa ci dice»: al termine di un vertice che non risolve niente Salvini rinvia così una scelta che sarà comunque lacerante per il centrodestra. Le linee sono contrapposte, è lui stesso ad ammetterlo: «Ci sono posizioni diverse e tocca a me trovare la sintesi».

Sempre che una sintesi sia possibile. Sin qui la partita si è giocata tutta nella metà campo della ex maggioranza: la destra si è goduta lo spettacolo. L’incarico a Draghi ha rovesciato la situazione. La ex maggioranza ha i suoi problemi ma ora quelli interni alla destra sovrastano perché con il pollice verso dei 5S e il sì del Pd, l’esito del tentativo Draghi dipende essenzialmente da quel che decideranno, tutti insieme o uno per uno, i tre partiti sin qui all’opposizione.

Salvini è strattonato da parti opposte e con ugual forza. Il partito del nord vuole Draghi: Giorgetti, Zaia, Fedriga, Fontana. Sono pragmatici, guardano alla produzione, alla Borsa, al portafogli. Il partito anti Ue strattona in direzione contraria: con Bagnai e Borghi in testa. Se non ci fosse sorella Giorgia non ci sarebbe partita. Ma FdI c’è e tallona la Lega. Al vertice la leader va giù secca: «Carte in tavola: noi Draghi non lo voteremo mai. Possiamo fare mezzo passo se dall’altra parte fate lo stesso: asteniamoci tutti». Per essere certa di essere stata capita si affida a Fb: «Nessuna possibilità di sostegno a Draghi. Fatevene una ragione».
Berlusconi è d’altro parere anche se non si espone apertamente: «Draghi è figura d’altissimo profilo: andiamo a sentire cosa ci propone, poi decideremo tutti insieme». Parole.

Il Cavaliere sa bene che anche solo all’interno del suo partito una decisione tutti insieme potrebbe rivelarsi impraticabile. C’è una fronda cresciuta nei mesi e che aspettava solo il momento giusto per uscire allo scoperto. Lo fanno le figure di spicco, la vicepresidente della Camera Mara Carfagna e Renato Brunetta, perentori: «Bisogna appoggiare Draghi». Alle loro spalle c’è il pezzo da novanta azzurro per eccellenza, secondo solo al monarca: Gianni Letta. Romperebbero certamente in caso di voto contrario ma molto difficilmente si accontenterebbero dell’astensione. Le forze minori, Da Toti a Cesa, sono già pronte alla fiducia. Berlusconi, in fondo, la pensa come loro. Ma esita di fronte allo strappo.

Tutti giurano di aspettare il programma dell’ex presidente della Bce e certo quel capitolo ha il suo peso. Ma molto di più incide il fattore tempo. Salvini lo cita apertamente: «Certo se Draghi ci dice che vuole governare per due anni proprio non si può». Persino Giorgia l’Irremovibile apre uno spiraglio: «Se Draghi sta lì per tre mesi e poi si vota se ne può parlare. Ma escludo che accetti questo». Magari i mesi potrebbero non essere tre. Si potrebbe arrivare allo scioglimento a fine giugno con il voto in settembre, non escluso dal semestre bianco. Ma per Draghi cambierebbe poco e comunque nessuno potrebbe garantire il rispetto di quella data. Il parlamento è sovrano e Mattarella sta lì per assicurarsi che lo resti.

Il ragionamento di Giorgia Meloni è inappuntabile: con questo parlamento nessuno può governare bene perché è frutto di un momento in cui c’erano tre poli in campo ma ora la situazione è cambiata, ora i poli sono due e dunque il prossimo parlamento renderà possibile una maggioranza certa e solida già da subito dopo il voto.

Purché naturalmente non si cambi la legge elettorale, perché è il combinato tra una pessima legge e una pessima riforma costituzionale alla quale non sono mai stati applicati i correttivi promessi dal governo giallorosso a creare questa situazione nella quale il vincitore prenderà tutto, dal Colle a palazzo Chigi alla possibilità di modificare a piacimento la Costituzione. Ma per Fi questo significherebbe essere imbrigliata una volta per tutte. Non può accettare: le tensioni si sommano e si moltiplicano. Alla vigilia dell’incontro di oggi con Draghi la leader di FdI può solo «sperare che il centrodestra non si divida». In caso di spaccatura Salvini dovrà decidere da che parte stare.