Le disavventure giudiziarie che hanno interessato a tutti i livelli il mondo dei 5Stelle non devono stupire. Erano largamente prevedibili. Non solo perché si tratta di un partito-movimento con ceto politico selezionato con metodi occasionali, ma soprattutto perché tale ceto l’ onestà è postulata in termini ontologici, secondo una «diversità» declinata su base antropologica. Ed invece, come scriveva Piero Gobetti in tempi diversissimi da quelli di oggi e insieme simili in maniera impressionante, «i lamenti sulle degenerazioni morali non intendono che fuori della lotta politica manca il criterio del rinnovamento etico».

Se è vero che «questioni morali» ad ogni livello sono strettamente intessute con la trama della storia dello Stato italiano, tanto che possono diventare oggetto di studi sull’identità, è anche vero che non sempre il problema si è presentato con la medesima gravità. Ci sono stati periodi, in genere coincidenti con quelli a più alta ed intensa tensione politica partecipativa, in cui tali fenomeni sono stati parzialmente ridotti alla loro dimensione di patologia, sia pure piuttosto estesa, ma che non sono stati considerati fisiologici.

La tradizione dei socialismi è stata essenziale nel tracciare limiti di demarcazione tra patologico e fisiologico. Poi, anche in quella tradizione, i limiti hanno cominciato a sfumarsi. La qual cosa ha coinciso prima con l’inizio, poi con il consolidarsi, di una inversione di direzione.

«Pochi giorni dopo Termidoro – scrive Michelet nella sua Storia della Rivoluzione francese – un uomo che vive ancora e che aveva allora dieci anni fu condotto dai genitori a teatro, e allora ammirò la lunga fila di vetture lucenti, che per la prima volta lo colpivano. Uomini in camiciotto e berretto dicevano agli spettatori che uscivano: Volete una vettura padrone? Il ragazzo non capiva quelle parole nuove. Se le fece spiegare, e gli dissero soltanto che c’era stato un gran cambiamento dovuto alla morte di Robespierre».

Forse questo lontano aneddoto può aiutarci a comprendere meglio quale siano state, e siano, le dinamiche di mutamento alla base di una «questione morale» che sembra riproporsi in maniera carsica.
Il grande cambiamento dovuto alla morte di Robespierre consisteva nel perseguimento esplicito della fine della rivoluzione. Ciò non poteva non avere effetti rilevantissimi sul complesso della società provocando altri mutamenti profondi: di costume, di morale, di riferimenti culturali. Tutti elementi essenziali per l’affermarsi del clima che rese possibile il prosperare dei Tallien, dei Barras, dei Fréron e delle molte Madonne del Termidoro.

Potremmo esercitarci, con amaro divertimento, ad individuare gli odierni Barras e le odierne Madonne del Termidoro. Il panorama è assai vasto e le similitudini impressionanti.
Naturalmente quello italiano non si è presentato come un brusco mutamento, bensì come un lungo Termidoro. Non si è trattato, inoltre, di porre fine alla rivoluzione, ma certo si è trattato di porre fine ad un progetto di trasformazione profonda degli assetti economici e sociali. Si è trattato di un progetto, riuscito, di rivincita sociale.

In fondo il problema della «diversità» è tutto qui. Il prius della diversità di Enrico Berlinguer non stava nell’etica, stava in una concezione della politica e degli obbiettivi della politica. Questo tipo di diversità non l’hanno inventato i comunisti. I comunisti l’hanno ereditata in quanto connaturata al progetto socialista e specificamente teorizzata nel processo di formazione di movimenti e partiti a carattere socialista

L’etica, il sistema di valori a cui facciamo riferimento è anche conseguenza, e non marginalmente, della concezione che abbiamo dei rapporti tra gli uomini. Non dei rapporti individuali tra gli uomini, ma dei rapporti sociali mediati dall’economia. Se consideriamo il mercato come l’ottimo regolatore di questi rapporti ebbene il valore più conseguente non può non essere che il «valore di scambio». In tale ottica anche la sfera politica diventa la sfera del mercato politico, le azioni politiche diventano oggetto di scambio, sottoposte all’etica dello scambio.

Il mercato delle merci, anche di quelle immateriali, ed il mercato politico hanno raggiunto larghissime aree d’osmosi. Si è creato lo spazio particolarmente adatto per la proliferazione di una delle figure più rappresentative della pervasiva, egemone, ragione del mondo neoliberista: la figura del soggetto «imprenditore di se stesso». In quello spazio, l’imprenditore di se stesso agisce in un contesto ideologico dove pressoché tutto il ceto politico, non solo quello de 5Stelle, ritiene che parti essenziali della sfera pubblica (istruzione, salute, ecc…) possano diventare mezzi di profitto privato. Uno spazio dove il fatto che la politica possa essere considerata lo svolgimento degli affari con altri mezzi, ha finito per essere considerato quasi fenomeno naturale.

L’opera di ricostruzione di uno spazio culturale e politico, la fatica di Sisifo a cui siamo chiamati, è dunque anche opera di ricostruzione etica.