«Sarà un discorso asciutto», cioè breve, fanno sapere da palazzo Chigi. Mario Draghi parlerà per mezz’ora, forse meno. Ribadirà le tre riforme cardine delle quali ha parlato già con tutti i partiti: fisco, giustizia civile, pubblica amministrazione. Sottolineerà l’importanza del piano vaccini: è la sua strategia per evitare, o limitare, i lockdown e gli interventi «depressivi». Calcherà la mano sulla scuola: considera la ripartenza su quel fronte fondamentale. «Ambiente» sarà la parola chiave che orienterà tutto. Persino la pur fondamentale creazione di posti di lavoro sarà la priorità assoluta ma senza impatto sull’ambiente.

SONO TITOLI, come sempre quando un nuovo premier presenta il suo programma per il voto di fiducia. Draghi lo farà alle 10 al Senato, poi depositerà il medesimo testo a Montecitorio, dove il voto è fissato per domani. Il successivo dibattito sarà inversamente proporzionale alla sinteticità del discorso: si prolungherà fino a sera inoltrata. Il voto potrebbe concludersi intorno alle 24. Ma nel discorso ci sarà un passaggio in più: un appello all’unità che, date le circostanze, avrà accenti diversi dal solito. Perché stavolta, nella stessa maggioranza e in situazione di massima criticità per il Paese devono collaborare forze di ispirazione e collocazione opposta, che si sono combattute sino a ieri e riprenderanno domani ma soprattutto che continueranno a farlo, e non potrebbe essere diversamente, anche nella fase di collaborazione.

NEL GOVERNO SI È trasferito quasi l’intero parlamento: ovvio che diventi anche un campo di battaglia. L’intergruppo varato ieri dalla ex maggioranza a palazzo Madama ha proprio questa funzione, oltre a quella di confermare un’alleanza ormai strategica: fare massa critica, riuscire a far valere la maggioranza assoluta alla Camera e quella relativa al Senato, orientare l’azione del governo in continuità con quella del Conte bis. Da questo punto di vista sarà stasera determinante il numero dei ribelli 5S che porteranno il dissenso sino al voto di sfiducia. Se i No fossero troppi, gli equilibri interni all’area della nuova maggioranza si squilibrerebbero e per certi versi si rovescerebbero. Il peso specifico dei partiti del centrodestra, in particolare della Lega, si moltiplicherebbe. Il nervosismo nei partiti della ex maggioranza è dunque massimo. E giustificato. L’intergruppo peraltro non è piaciuto a Iv, che minaccia ora di formarne uno con «i partiti riformisti». Fuor di metafora con Forza Italia.

L’ANELLO CRITICO è la Lega, unico partito a doversi misurare con un competitor rimasto all’opposizione, FdI. Salvini oscilla tra la tentazione di fare il partito di lotta capitato per caso al governo e quella di premere l’acceleratore sulla «normalizzazione» del Carroccio, per ottenere una legittimazione europea e internazionale preziosa. Lunedì, con gli attacchi a raffica contro Speranza e Arcuri, la bilancia sembrava pendere dal lato della guerriglia permanente. Ieri il quadro si è rovesciato. Salvini, che la sera prima aveva incontrato Zingaretti e nei prossimi giorni ha in programma colloqui con tutti i leader della maggioranza, ha calzato il doppio petto e sfoderato il sorriso amichevole. Parole fiorite persino per l’eterno bersaglio Speranza: «Non lo invidio. Sta sotto pressione da un anno. Cercheremo di sostenerlo». Critico ma anche vellutato con il Cts: «Bisogna rimpolparlo ma c’è un momento in cui bisogna deporre l’ascia di guerra dei partiti». Il calumet della pace è l’assenza dell’abituale richiesta di rimuovere Arcuri.

LA CONCESSIONE alla base sovranista è un passaggio sull’euro che non è eterno perché «di irreversibile c’è solo la morte». Zingaretti rimbecca ricordando «l’importanza della moneta unica per l’Italia». Ma i toni sono fiacchi da entrambe le parti. Nell’incontro di lunedì sera i due hanno pianificato la tregua, non la guerra strisciante. Una tregua in due mosse: affidare al parlamento le aree non direttamente comprese nella mission di Draghi ma congelare i temi a più alto potenziale esplosivo. È probabile che qualche accordo sia stato preso anche sulla divisione dei sottosegretariati. La Lega ambisce a una presenza alla Sanità, forse anche agli Interni. Il Pd non dovrebbe opporsi. Se basterà a rendere l’appello unitario che Draghi lancerà oggi qualcosa in più che retorica resta incerto. Ma il tentativo di evitare una rissa permanente c’è.