Nella giornata di ieri si sono registrati 31.079 nuovi casi positivi al coronavirus grazie a 215 mila tamponi. Entrambe le cifre rappresentano dei record ma il numero dei casi corre più velocemente di quello dei test: il rapporto tra nuovi casi e tamponi fatti (escludendo quelli di controllo) è al 24%. «Indica che l’epidemia galoppa», commenta Gianni Rezza, direttore della Prevenzione al ministero della Salute. L’Italia sta tornando a essere uno dei paesi con più casi giornalieri al mondo, come nella prima ondata: solo Usa, India e Francia ora ne contano di più. Una nota positiva viene dal numero di decessi. Ieri sono stati 199 e il picco di 227 raggiunto quattro giorni fa non è stato più superato. I pazienti ricoverati in terapia intensiva sono aumentati e ora sono 1.746. A differenza degli ultimi 4 giorni, in cui l’aumento aveva sempre superato le 100 unità, ieri si è fermato a 95 posti letto in più. Non basta un giorno per invertire un trend e saranno i prossimi a mostrarci se le chiusure introdotte a metà mese stiano abbassando la curva.

A PARTE QUESTI SEGNALI tutti da decifrare, la tendenza generale al peggioramento degli ultimi giorni si conferma. La Lombardia da sola conta quasi novemila casi, cioè più di interi stati come Iran o Messico. Ma a Milano, secondo il direttore dell’Ats Walter Bergamaschi «siamo abbastanza vicini al limite» del numero dei tamponi da eseguire. Oltre che in Campania, anche in Veneto è stata superata la soglia dei tremila casi. Dopo l’ultimo aumento dei posti letto in terapia intensiva, arrivati ormai a quota diecimila a livello nazionale, il tasso di occupazione dei reparti a livello nazionale è del 17%. Ma è un valore medio, che nasconde variazioni da regione a regione. In diverse – Umbria, Campania, Piemonte, Val D’Aosta secondo un report dell’Università Cattolica di Roma – si è superata la soglia del 30%: «È la soglia ritenuta utile per garantire le terapie programmate» spiega ai giornalisti Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità.

«AL DI di là della soglia, le regioni sono costrette a riconfigurare le prestazioni, dilazionando gli interventi programmati»: cioè, dovranno scegliere se dedicarsi ai casi Covid o alle altre patologie. Brusaferro presentava il rapporto settimanale redatto dalla cabina di regia formata da Istituto superiore di Sanità e ministero della Salute sulla situazione epidemiologica. Il documento evoca un periodo di lockdown senza tanti giri di parole: «È necessaria una drastica riduzione delle interazioni fisiche tra le persone in modo da alleggerire la pressione sui servizi sanitari. È fondamentale che la popolazione eviti tutte le occasioni di contatto con persone al di fuori del proprio nucleo abitativo che non siano strettamente necessarie e di rimanere a casa il più possibile».

L’INDICE di trasmissione a livello nazionale ha raggiunto infatti il valore di 1,7. In regioni come Lombardia e Piemonte supera il valore 2. Significa che ogni malato di Covid ne genera altri due, una situazione che chiaramente non promette nulla di buono. Infatti, nella scala a quattro livelli fissata dal governo, Brusaferro la ritiene «compatibile con lo scenario 3, ma in transizione con lo scenario 4 – il peggiore – con regioni che già sono a questo stadio». Brusaferro si riferisce a Calabria, Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte e alla provincia di Bolzano. Lo scenario 4, in queste regioni a rischio “elevato”, fa scattare la chiusura di scuole e università e prevede misure di rafforzamento del sistema dei tamponi e del tracciamento dei contatti. Ce ne sarebbe bisogno perché il tracciamento è sempre più difficile.

IL NUMERO DI CASI individuati seguendo i contatti dei positivi continua a calare, e ora è il 19,2% del totale, mentre superava il 30% solo un mese fa. Raddoppia il numero dei casi «non riconducibili a catene di trasmissione note», da 23 mila a 49 mila casi in una settimana. In alcune regioni rappresenta l’80% dei casi. Se non si ricostruiscono i focolai, salta il principale strumento di prevenzione del contagio, cioè l’isolamento dei contatti.

UNA BUONA NOTIZIA viene dall’età media dei casi positivi: rimane vicina ai 40 anni, anche se è in lieve crescita. È un buon segno perché significa che il virus continua a circolare soprattutto in fasce di popolazione relativamente giovani, e questo abbassa significativamente la mortalità del virus