Non solo il nostro pianeta ma anche lo spazio sta diventando sempre più privatizzato e industrializzato, determinando molte conseguenze per la scienza e l’umanità. In particolare, il lancio di satelliti a bassa orbita ad opera di compagnie private sta crescendo drammaticamente, in un contesto quasi per nulla regolato. Si tratta di crisi silenziosa che sta arrivando un punto di non ritorno: l’astrofisico Roberto Trotta fa parte di quella comunità di astronomi ed astrofili che da tempo sta lanciando l’allarme.

Per cominciare facciamo un po’ di storia: quando si è iniziato a mandare satelliti nello spazio, a quali altezze e a quali scopi?

Il primo satellite artificiale della storia, lo Sputnik, venne lanciato dai russi nel 1957 e fornì agli scienziati preziose informazioni, ad esempio fu possibile dedurre la densità dell’atmosfera superiore in base alla sua resistenza sull’orbita, mentre l’analisi della propagazione dei suoi segnali radio ha fornito dati sulla ionosfera. Questo successo dell’Unione Sovietica suscitò la reazione degli Stati Uniti e dette il via alla corsa allo spazio nel contesto della guerra fredda. Da alcuni anni, pochissimi, è partita una nuova corsa allo spazio, di carattere diverso perché anziché fra stati nazione si svolge soprattutto fra aziende private, che sono in mano a una mezza dozzina di baroni dello spazio, e la concorrenza sta determinando un’accelerazione preoccupante.

Di quali dimensioni?

Tra operazioni di tipo pubblico ma anche privato, fino al 2018 sono stati lanciati circa 6 mila satelliti, distribuiti su orbite sia basse (tra i 300 e i 2.000 km di altitudine) che intermedie fino alle più alte, o geostazionarie, che arrivano a più di 35 mila chilometri sul livello del mare. Per darvi un’idea, dopo il 2018 una sola compagnia americana ne ha mandati in orbita ben 1.800 e si propone di arrivare a 30 mila nei prossimi 5 anni, oltretutto solo in orbita bassa. E’ stato stimato che con questi ritmi nel 2030 si arriverà a più di 100 mila satelliti in orbita.

Perché il lancio dei satelliti si è intensificato così tanto?

Allo scopo di creare una rete di internet globale con un tempo di risposta brevissimo, pochi millisecondi, sempre e dappertutto; questo progetto viene propagandato con l’idea della connettività globale e per tutti, ma questo è vero fino a un certo punto. Bisogna parlare anche delle criticità. Innanzitutto questo servizio non è gratuito, si stima che i costi saranno fra gli 80 e 100 dollari al mese di abbonamento: alcuni studi dimostrano che nei luoghi in cui la popolazione si può permettere il costo di questo abbonamento, il bisogno di internet satellitare non è così esteso, in quanto gran parte del territorio è già coperto dal 5 G, dalla fibra. Laddove invece ci sarebbe più bisogno di internet, come nei paesi in via di sviluppo e nei luoghi difficilmente raggiungibili, pochi o nessuno sono in grado di permettersi questo abbonamento. Inoltre, questi satelliti vengono mantenuti a bassa quota per avere una maggiore velocità di trasmissione: dei satelliti ad alta quota avrebbero una risposta meno veloce ma sarebbero meno invasivi e coprirebbero una fetta più grande del globo.

A cosa servirebbe e a chi questo internet super veloce?

Le persone che possono essere maggiormente interessate a questo genere di internet sono i frequentatori di giochi on line, dove il tempo di reazione è tutto, mentre a livello di attività commerciale ne usufruiscono le High frequency financial trading cioè le transazioni finanziarie che utilizzano un algoritmo di intelligenza artificiale per sfruttare i millisecondi di fluttuazione finanziaria sui mercati per estrarre valore, una compravendita ad altissima frequenza di azioni e quant’altro, che necessita una rete velocissima per «battere» il mercato; quindi un internet molto settoriale, che riguarda pochi, quando invece costi e conseguenze sono pagati da tutti.

Con quali conseguenze?

Sono di vario tipo. Sul piano scientifico, questi satelliti, essendo molto bassi, interferiscono con i telescopi. Strumenti per i quali si sono spesi miliardi per collocarli nei luoghi più remoti e ad alta elevazione, per raggiungere la massima oscurità e un’atmosfera più sottile: ad esempio l’altopiano desertico di Atacama in Cile, che sta a più di 3 mila metri di altitudine. Passando davanti alle lenti del telescopio questi satelliti lasciano delle strisce luminose sul sensore che rovinano le immagini: si arriva a perdere fino alla metà delle rilevazioni, dati che non verranno mai recuperati. Lo stesso vale per i radiotelescopi, che usano le onde radio per osservare le galassie più lontane; anche loro sono costruiti in zone remote, come il deserto australiano, perché lontani dalle interferenze radio di tutta la nostra tecnologia; ma siccome questi satelliti mandano dei segnali radio verso la terra, andranno a interferire con il funzionamento dei radio telescopi che hanno bisogno del «silenzio radio assoluto» per poter fornire dati attendibili. Già ora vediamo l’aumento molto forte del numero di immagini rovinate o di interferenze radio, quando i piani satellitari non sono ancora completati, è ancora solo una frazione di quello che ci aspetta nel futuro.

Non esiste una regolamentazione? Si possono prendere dei provvedimenti per ridurre l’impatto o il numero dei satelliti?

No, purtroppo lo spazio è di tutti e di nessuno e non c’è una legge internazionale che lo protegge da questo genere di attività. Per assurdo, se io cambio un camino sul mio tetto sono costretto a fare una Via, invece per lanciare nello spazio migliaia di satelliti non bisogna fare assolutamente nulla. Per limitare i problemi la strada maestra è quella di contenere il numero di satelliti mandati in orbita. Come comunità scientifica ci siamo mobilitati, abbiamo interloquito con le aziende, qualche accortezza è stata presa, come dipingere di nero i satelliti, ma sono provvedimenti ben lungi dall’essere efficaci.

Ci ritroveremo ad osservare un cielo con più satelliti che stelle?

Purtroppo si, se continuiamo a questi ritmi già nel 2030 letteralmente il cielo pulito scomparirà. Una perdita enorme anche dal punto di vista culturale, se pensiamo al ruolo che il firmamento ha svolto nella storia dell’uomo: ha fatto da guida, per esempio, nella navigazione, è fonte d’ispirazione poetica e anche scientifica: Poincarè chiamava l’astronomia «la levatrice delle scienze», cioè colei senza la quale tutte le altre scienze non sarebbero nate. È un problema immane di cui non ci stiamo rendendo conto e direi che è anche una questione di democrazia: il cielo è di tutti.