Falsità, fakenews, demagogia, aiuti ai soli evasori contributivi. Il capitolo “pensioni” della prima legge di bilancio del governo Meloni è sicuramente il più controverso e penalizzante.

Lo dimostra come la parola «pensioni» sia quasi sparita dagli sproloqui di Matteo Salvini. Il leader leghista in campagna elettorale era tornato a promettere di «cancellare la legge Fornero». Dal primo gennaio la riforma previdenziale più draconiana della storia europea torna per tutti i pensionandi tranne i 18 mila che rientrano nei paletti strettissimi di Quota 103, l’ennesima presa in giro e flop annunciato inventato dalla Lega stessa e da Claudio Durigon, già attuatore della versione «100» partorita nel 2019 dal governo gialloverde con il M5s.

Anno che vai, calcolo astruso che trovi: nel 2023 si potrà andare in pensione con 62 anni d’età e 41 anni di contributi. Soprattutto il secondo requisito riduce drasticamente la platea, in special modo per le donne, ancora una volta le più penalizzate dagli interventi sulle pensioni.

Per loro rimane “Opzione donna” con 35 anni di contributi dopo che la ministra Marina Calderone ha dovuta fare retromarcia sull’innalzamento dei requisiti (58 anni di età) da cui inizialmente erano escluse solo le madri di figli plurimi. In più viene ristretto l’accesso: sarà consentito soltanto alle lavoratrici caregiver, a quelle con invalidità di grado non inferiore al 74% oppure licenziate o dipendenti da aziende in crisi.

Il premio per le dichiarazioni più false va comunque al ministro leghista Giancarlo Giorgetti che continua a parlare di «manovra che guarda ai giovani». Sul piano previdenziale per loro e per i lavoratori precari non c’è un bel niente, essendosi rimangiato le aperture fatte inizialmente sulla «pensione contributiva di garanzia», proposta lanciata oramai dieci anni fa dal professor Michele Raitano e che non avrebbe costi per lo stato fino al 2030.

Sulle pensioni invece Giorgetti ha fatto «cassa» tanto è vero che il taglio alla rivalutazione – lo strumento che tutela in parte gli assegni dall’aumento dell’inflazione – è la prima voce di entrate della legge di bilancio: 3,8 miliardi nel 2023; circa 10 miliardi nel triennio.

I pensionati dunque sono la categoria più colpita. Dopo il blocco decennale attuato dai governi di tutti i colori, la rivalutazione degli assegni nel 2023 sarà al 100% solo per gli assegni fino a 4 volte il minimo, pari a circa 1.600 euro netti. Sopra questa cifra, il governo fa cassa tagliando l’indicizzazione a 4,3 milioni di pensionati: all’85% per gli assegni tra 4 e 5 volte il minimo (fino a circa 2 mila euro al mese), con una riduzione ancora più forte per gli scaglioni più alti.

Solo per il 2023 le pensioni minime saliranno da 563,73 a 600 euro ma solo per gli over 75. Si tratta però per la gran parte di commercianti e artigiani (bacino elettorale di Forza Italia) che hanno eluso il versamento dei contributi. Insomma, un altro condono occulto.