I segretari generali di Cgil, Cisl e Uil oggi pomeriggio alle 16 tornano a varcare le porte di palazzo Chigi. Già questa sarebbe una notizia, vigente ancora il mantra renziano della disintermediazione. L’incontro è stato convocato da Paolo Gentiloni dopo che i sindacati lo richiedevano da più di un mese per concludere la cosiddetta «Fase 2» del tavolo «pensioni» portato avanti dal ministro del Lavoro Giuliano Poletti. La manovra arrivata in parlamento non prevede quasi niente alla voce previdenza: solo il contentino per le lavoratrici madri con i requisiti Ape sociale che avranno un bonus di sei mesi per ogni figlio, fino a un massimo di 24, come anticipo sull’età per accedervi.

CGIL, CISL E UIL invece chiedevano il blocco dei cinque mesi dell’età pensionabile dovuti all’aumento dell’aspettativa di vita certificati una settimana fa dall’Istat che dal primo gennaio 2019 costringeranno tutti i lavoratori senza alcuna differenza ad attendere i 67 anni per potersi ritirare. La seconda richiesta era una pensione di garanzia per giovani e precari ma su questa non c’è stata nemmeno discussione.

PAOLO GENTILONI nel presentare la manovra il 16 ottobre era stato serafico ma inamovibile: «C’è una legge in vigore e la rispetteremo». La legge prevede infatti che entro il 31 dicembre un decreto ministeriale adegui l’età pensionabile rispetto a quanto «misurato» dall’Istat. La svolta è arrivata con le parole di Maurizio Martina del 25 ottobre. Accodandosi alle critiche di tutte le principali forze politiche e di molti esponenti Pd contrarie all’innalzamento, il ministro dell’Agricoltura aveva dichiarato: «Le norme sull’aumento automatico dell’età pensionabile vanno riviste e per questo serve un rinvio dell’entrata in vigore del meccanismo». Il problema è che Martina parlava più da vicesegretario del Pd che da ministro, tanto da evocare «una discussione parlamentare», non un intervento del governo.

DA SUBITO infatti Pier Carlo Padoan e i tecnici del ministero dell’Economia hanno spiegato che anche un congelamento a giugno della norma comportava la necessità di una copertura in legge di bilancio. E i soldi non c’erano.

L’INCONTRO di oggi dunque è definito «delicato» sia da fonti di governo che da quelle sindacali. Al momento nessuno sa cosa proporrà Gentiloni. L’ipotesi più accreditata è che il premier proponga che sia il parlamento ad intervenire e a trovare la copertura. La cui entità dipenderà dalla modifica proposta alla legge. L’idea avanzata da più parti è di proporre di escludere dall’adeguamento automatico all’aspettativa di vita le 11 categorie di lavori gravosi già previsti nell’Ape social: maestre di asilo nido e scuola materna, infermieri che fanno turni notturni, macchinisti, camionisti, gruisti, muratori, facchini, badanti di persone non autosufficienti, addetti alle pulizie, alla raccolta dei rifiuti e alla concia delle pelli.

SAREBBE LA SOLUZIONE più rapida e meno costosa: gli ottimisti stimano 100 milioni per il 2019. Ma non sarebbe una soluzione che soddisferebbe sia la Cgil che la Uil. In primis perché non comporterebbe il congelamento a giugno chiesto inizialmente dal primo parlamentare proponente – il presidente della commissione Lavoro Cesare Damiano – né la trattativa proposta da Martina per cambiare tutta la legge.

IN PIÙ sia Cgil che Uil chiedono un segnale più profondo: «Il blocco valga per tutte le categorie». Diversamente sono pronte a mobilitarsi. La Cisl – come al solito – sarebbe invece disponibile al compromesso ma rischia di rimanere isolata sul fronte sindacale. Insomma, un bel rebus per il «soldato» Gentiloni. Forse l’ultimo da risolvere di questa triste legislatura disintermediata.