L’Inps ha preparato le lettere che gli italiani ritroveranno nelle «buste arancioni» con l’estratto conto contributivo e la simulazione standard della pensione futura. Sono circa 150mila, su 7 milioni, le buste che saranno state consegnate in queste ore alle Poste per la spedizione.

Prevista dalla riforma Dini, la busta arancione è uno strumento per fare luce sulla condizione previdenziale degli italiani. «Abbiamo trovato tantissimi ostacoli perché, lo voglio dire con sincerità, c’è stata paura nella classe politica, paura che dare queste informazioni la possa penalizzare dal punto di vista elettorale» ha detto il presidente dell’Inps Tito Boeri. Una denuncia fondata.

In un’intervista rilasciata nel novembre 2014, l’ex ministro del lavoro Elsa Fornero sostenne che Mario Monti le chiese «di annullare la conferenza stampa con cui avremmo annunciato l’invio delle lettere per comunicare agli italiani l’importo delle future pensioni». Monti intendeva così nascondere i costi sociali reali della riforma previdenziale approvata dal suo governo, preparati dalla riforma Dini nel 1995.

Questa esigenza non era nuova. Il 5 ottobre 2010, con il governo Berlusconi in carica, Antonio Mastrapasqua – il predecessore di Boeri all’Inps – disse che, se l’avesse inviata, la busta arancione avrebbe provocato un «sommovimento sociale». Il concetto è stato successivamente ripreso, rovesciato in senso positivo e risignificato. È diventato uno dei tratti distintivi dei freelance con Acta e dei liberi professionisti ordinisti (architetti, avvocati e altre oggi nella rete della «Coalizione 27 febbraio»). «Il sommovimento sociale è arrivato» recitava lo slogan di un’iniziativa di Acta al Macro di Roma nel maggio 2011. Oggi potrebbe diventarlo anche per i precari.

L’espressione indica il nuovo conflitto sociale in atto. A distanza di più di vent’anni si è capito che il sistema contributivo produrrà costi sociali insostenibili per chi fa un lavoro indipendente (partita Iva o parasubordinati) e ha iniziato a lavorare dopo il 1996. Oggi è una condizione generale, non riguarda solo la «generazione anni Ottanta». Per Boeri si tratta di un’operazione «importante perché in Italia c’è una bassa cultura previdenziale e una consapevolezza finanziaria ancora più bassa, soprattutto fra i giovani».