Tacciati quasi all’unisono di essere dei privilegiati, i pensionati d’Italia si scoprono sempre più poveri e tartassati. I 5,5 milioni che hanno la fortuna di avere una pensione di 1.500 euro lordi al mese – pari a poco più di 1.200 netti – dal 2012 alla fine di quest’anno avranno perso in media 1.779 euro: praticamente un mese e mezzo della stessa pensione. La causa di questa pesante perdita del potere d’acquisto non risponde solamente al nome di Elsa Fornero. Se il ministro che pianse il 5 dicembre 2011 nell’annunciare anche alla propria madre il blocco totale della rivalutazione – una percentuale che tiene conto dell’inflazione stimata – delle pensioni per il biennio 2012-2013 ha gran parte delle colpe, assieme a lei vanno annoverati Enrico Letta e Enrico Giovannini per il 2014 e Matteo Renzi e Giuliano Poletti per il 2015, con l’aggravante della promessa non mantenuta dell’estensione degli 80 euro all’intera categoria dei pensionati. Nel biennio 2014-2015 invece l’adeguamento è stato sull’intero importo della pensione con una percentuale del 100% solo per quelli che hanno un assegno fino a tre volte il trattamento minimo mentre decresce per le altre categorie d’importo: ora la rivalutazione è verticale – su tutto l’ammontare dell’assegno – e non più per fasce – l’assegno era spacchettato con una percentuale diversa per ogni comparto. Oggi e per tutto il 2016 è previsto il 100 per cento di rivalutazione fino a circa 1.500 euro – tre volte l’importo minimo – che passa al 95 per cento da 3 a 4 volte il minimo – circa 2mila euro – al 75 per cento da 4 a 5 volte il minimo, al 50 per cento da 5 a 6 volte e del 45 per cento al di sopra di questo limite.

La cifra risparmiata dallo Stato in quattro anni è di tutto rispetto: 9,7 miliardi. Ma è niente rispetto a quella del cambio di metodo di calcolo della riforma Fornero: il passaggio totale al metodo contributivo porterà risparmi di 80 miliardi da qui al 2020 e addirittura di 300 miliardi entro il 2050.

La ricerca dello Spi Cgil è dunque il punto di partenza per cercare di dare più equità ad un sistema che proprio per la riforma Fornero è considerato «totalmente in sicurezza».
Il capitolo pensioni è difatti tornato improvvisamente d’attualità dopo la nomina a presidente dell’Inps di Tito Boeri che ha annunciato la volontà di ridare flessibilità al sistema e ha proposto di ricalcolare per tutti i pensionati l’assegno con il metodo contributivo.
Il tutto – parola del ministro Poletti – verrà deciso con la prossima legge di stabilità. E nel frattempo lo Spi e l’intera Cgil cercheranno di «trovare alleanze per evitare docce gelate», come sottolinea il segretario generale dello Spi Carla Cantone, «partendo dalla certezza che le modifiche alla Fornero non le dobbiamo discutere con Boeri, ma le vogliamo discutere con il governo».

Ecco allora le proposte. La prima riguarda la possibilità di applicare a tutti il 100 per cento di rivalutazione fino a 5 volte il minimo – circa 2500 euro lordi, meno di 2000 circa netti – e del 50 per cento per tutti gli importi superiori. Una modifica che costerebbe circa 350 milioni per ogni punto di inflazione l’anno.

La seconda e più strutturale riguarda i coefficienti di trasformazione: il parametro che lega il contributi versati e l’assegno che si riceverà. Lo Spi Cgil propone di modificare i coefficienti attuali – che vengono modificati ogni due anni e legati all’aspettativa di vita. La proposta è quella di usare il cosiddetto modello svedese: un calcolo che si basa sulla data di nascita e sull’età di maturazione del diritto alla pensione, in modo che si abbia almeno certezza del coefficiente minimo che determinerà l’importo della pensione.