«A Torino nei pronto soccorso abbiamo oltre il 500% di casi positivi in più rispetto alla fase 2 e oltre il 39% in più rispetto alla fase 1. Quanto ai pazienti ventilati, sono anche questi il 500% in più rispetto alla fase 2 e oltre il 15% in più rispetto alla fase 1. I numeri dicono che stiamo peggio di marzo. Purtroppo i malati sono più giovani e più gravi. Ci mancano i posti letto e soprattutto gli infermieri. In misura minore ci mancano anche i medici».

Domenico Martelli è il direttore della struttura di medicina dell’ospedale Maria Vittoria di Torino. È il responsabile, tra l’altro, di due reparti Covid. Anni fa ha avuto problemi con la dirigenza per le sue denunce, al tempo in cui era rappresentante sindacale. Per questa intervista ha ricevuto l’autorizzazione dalla direzione sanitaria della Asl Città di Torino.

Dottor Martelli, vi manca il personale per mettere in funzione i nuovi ventilatori?

La realizzazione di reparti Covid nei reparti chirurgici mette in difficoltà gli infermieri che non hanno esperienza nell’uso dei ventilatori. Ma in realtà mancano anche i ventilatori. Stiamo ventilando in modo artigianale, collegando i caschi direttamente alle prese di ossigeno.

Il presidente della Società di medicina di urgenza dice che la situazione nei pronto soccorso è drammatica. Per la sua esperienza, rispetto a marzo come sono migliorate le dotazioni o le procedure in previsione della seconda ondata?

Non sono migliorate, non è cambiato niente. Anzi, una cosa: gli operatori oggi sanno che non è stato fatto nulla, quindi rabbia e angoscia hanno preso il posto dell’entusiasmo che era servito a reggere il primo impatto.

È possibile che i ricoveri siano eccessivi rispetto alla gravità dei casi? Chi si infetta e ha i primi sintomi non dovrebbe passare per il pronto soccorso.

È chiaro che va scoraggiato il ricorso al pronto soccorso se si ha solo la febbre, la tosse e il raffreddore. Ma se hai la polmonite e non riesci a respirare bene è ovvio che vai al pronto soccorso. Anche perché con il virus in pochi giorni puoi avere bisogno di ossigeno o addirittura di ventilazione meccanica. Non ci sono indici prognostici in grado di dirci se è quando la malattia può evolvere pericolosamente. Abbiamo esperienza di pazienti che respirano in maniera autonoma, si alimentano e stanno apparentemente bene, ma nel giro di poche ore devono essere attaccati alla macchina per sopravvivere. Di fronte a questi rischi non si possono mandare a casa le persone con la polmonite. Specie se sono anziane e hanno comorbidità.

E il tracciamento?

È saltato. Non riusciamo più a fare i tamponi che sarebbero necessari, non si riescono a tracciare tutti i contatti dei positivi. Il sistema delle Unità speciali di continuità assistenziale (Usca) non funziona. Il Piemonte fa pochi tamponi e i risultati arrivano dopo quattro giorni, troppi. Nei laboratori di analisi il personale è poco e non è sufficiente a processare l’enorme mole di lavoro. Mi dicono che non sono stati rinnovati nemmeno i contratti a termine.

Come vi eravate preparati alla seconda ondata?

Non ci eravamo preparati. L’impressione è che le autorità sia nazionali che regionali abbiano scommesso sul fatto che l’epidemia non sarebbe tornata con questa forza. Abbiamo perso quattro mesi. In Piemonte soltanto pochi giorni fa è stato fatto un bando per l’assunzione di medici Covid. Serviranno almeno tre settimane per vederli al lavoro. Si fa fatica ad aprire altri reparti per mancanza di personale, quindi si è costretti ad utilizzare i reparti già operativi chiudendo dei letti precedentemente dedicati ad altro. I reparti chirurgici riducono drasticamente la loro dotazione per dedicarla ai malati Covid. Nei nostri ospedali sono stati fatti dei progetti per l’incremento delle terapie intensive e semi intensive, ma sono rimasti sulla carta. Ora i letti di terapia intensiva vengono recuperati occupando le sale operatorie. Gli interventi programmati non possiamo più farli, solo gli urgenti e quelli relativi a patologie neoplastiche.

È vero, come denuncia il presidente della Società di medicina di emergenza, che i pronto soccorso fanno da «parcheggio»?

Circa il 70% di chi passa per il pronto soccorso sarebbe destinato ai reparti di medicina. Adesso non possono accoglierli, se non raddoppiando i letti con la stessa dotazione medica ordinaria. Anche perché nella fase 1 i pazienti non Covid erano quasi scomparsi, ma adesso ci sono. E così effettivamente i malati positivi al Covid restano in attesa per giorni nei pronto soccorso. Come gli altri sono soli, lontani dall’affetto dei loro cari. E anche noi medici ci sentiamo soli. Nelle nostre tute da astronauti fatichiamo a sorridere ai pazienti, a guardarli negli occhi, a stabilire un rapporto empatico con i malati e con i loro familiari con i quali parliamo solo al telefono.