Dopo la minaccia di spezzare i remi agli scafisti in tutto il globo terracqueo, il governo lancia una nuova crociata: spezzare le reni ai forestierismi che hanno varcato i confini. Quelli linguistici, non geografici. Nella proposta di legge del deputato Fabio Rampelli (FdI), infatti, non si parla di persone ma di parole.

«Gli enti pubblici e privati sono tenuti a presentare in lingua italiana qualsiasi descrizione, informazione, avvertenza e documentazione», recita il testo in otto punti. Per chi trasgredisce la legge e infanga la patria favella sono previste sanzioni salate: da cinquemila a 100mila euro.

L’iniziativa sarebbe motivata dal rischio di estinzione della lingua italiana dove dal 2000 a oggi le parole inglesi sono aumentate del «773 per cento», secondo stime citate nella proposta. Che parla di «infiltrazione eccessiva» e «forestierismi ossessivi».

Tremano le organizzazioni Pro-Life, che pure nel governo avevano riposto le loro speranze. Facile ribattezzarsi Pro-Vita, più difficile italianizzare la «propaganda gender». «Propaganda del genere» non fa lo stesso effetto. Anche i giudici che dovranno condannare chi organizza i rave da 3 a 6 anni, come vuole il governo, dovranno stare attenti. Rispetto a «raduni musicali illegali» l’anglismo è più economico dal punto di vista linguistico, ma rischia di costare caro in termini monetari.

«La proposta di FdI rasenta il ridicolo», per Irene Manzi (Pd). «Il governo di una presidente che si autodefinisce underdog non ha di meglio da fare che andare a caccia di inglesismi», dice Francesco Silvestri (M5S).

Ma la questione oltre che politica è linguistica. «Prestiti e contatti sono meccanismi assolutamente normali di evoluzione delle lingue», spiega Silvia Nugara, linguista e ricercatrice presso l’università di Torino. «Si può discutere se alcuni eccessi siano spia di poca vitalità di una lingua, ma pensare di determinare per legge il rifiuto della contaminazione significa solo correre dietro al fantasma della purezza», continua.

Un fantasma che dalla lingua alla cultura alla storia riflette gli ingenui miti dell’origine: null’altro se non costruzioni sociali attraverso le lenti del presente. Del resto «forestierismo» nasce da «forestiero» che per la Treccani deriva dal provenzale forestier. Chi lo dice a Rampelli?