«Serve un decreto legge, i tribunali da soli non ce la fanno a eliminare l’ingiustizia di pene illegittime comminate sulla base di norme dichiarate incostituzionali, come quelle contenute nella Fini-Giovanardi e nell’ex Cirielli». Ora che Strasburgo ha promosso a pieni voti i provvedimenti governativi di contrasto al sovraffollamento carcerario, Francesco Maisto, presidente del Tribunale di sorveglianza dell’Emilia Romagna, lancia l’allarme sull’altro versante dell’emergenza giudiziaria: l’intasamento delle aule di tribunale. L’avvertimento riguarda gli effetti negativi della sentenza della Cassazione con la quale, il 29 maggio scorso, le Sezioni unite hanno autorizzato il ricalcolo al ribasso delle pene inflitte ai piccoli spacciatori, anche se recidivi. «Nessun corporativismo», assicura il magistrato. D’altra parte «c’è già il precedente del decreto Martinazzoli, nel 1985, con Pertini presidente». «Un intervento governativo è necessario, altrimenti – aggiunge Maisto – si può dire che siamo all’emergenza dichiarata ma non praticata».

 

Presidente, dopo l’intervento della Corte costituzionale, la Cassazione ha dato il via libera ad un ridimensionamento delle pene per i condannati con la Fini-Giovanardi. Però l’incidente di esecuzione deve essere richiesto dai singoli detenuti direttamente al giudice dell’esecuzione. Con quali tempi si potrà procedere al ripristino della legalità giuridica?

La stessa Corte di Cassazione indica qual è la strada per ricalcolare la pena: bisogna fissare l’udienza – e ci vogliono dieci giorni – poi si deve riunire la camera di consiglio e le parti vengono chiamate a comparire… È un meccanismo del tutto legittimo ma farraginoso che ricade sui giudici dell’esecuzione, cioè sulle Corti d’Appello se a curare l’esecuzione della sentenza è la procura generale, o su giudici monocratici o collegiali se la sentenza è eseguita dalla procura della Repubblica. Si è posto anche il problema della rideterminazione della pena quando le sentenze sono ancora in Cassazione. Insomma, si è affermato certamente un principio di grande civiltà, quello che applica il lex mitior, il trattamento più favorevole al condannato, anche di fronte a sentenze passate in giudicato. Ma il rischio di non riuscire a rimuovere in tempo le pene illegittime c’è. D’altronde quando la Consulta ha dichiarato l’incostituzionale della Fini-Giovanardi ha parlato di «manifesta irragionevolezza e arbitrio del legislatore»: parole pesanti. E ora si riperpetua paradossalmente, in materia di stupefacenti, l’incertezza della ragione giuridica.

Quindi la soluzione sarebbe un intervento del legislatore?

In prima battuta potrebbe essere un intervento governativo, trattandosi di una situazione che si verifica nel corso della dichiarata emergenza penitenziaria – che non è stata revocata – e di un problema che investe migliaia di condannati in esecuzione di pena. La soluzione potrebbe essere il decreto legge che spiega come rideterminare la pena, oppure addirittura una sorta di condono solo per i casi di persone detenute in violazione dell’articolo 73 comma 5 della legge sulle droghe. L’antenato di un provvedimento di questo tipo è il decreto legge 144 del 22 aprile 1985 convertito nella legge 297 il 21 giugno 1985. L’allora Guardasigilli Martinazzoli risolse così il problema di un forte aumento di tossicodipendenti in carcere perché non era previsto alcun trattamento alternativo e terapeutico. I tossicodipendenti che erano già in carcere avrebbero comunque dovuto attendere almeno tre mesi di osservazione della personalità per accedere alle misure alternative. Allora Martinazzoli creò un binario più veloce e moltissimi tossicodipendenti furono scarcerati o non andarono in carcere ottenendo direttamente l’affidamento ai servizi.

Non si farebbe prima con un’amnistia mirata e un indulto?

Non è la misura più congeniale al sistema ma certamente potrebbe essere necessario ricorrervi se ci fosse ancora bisogno, dopo aver preso tutte le misure necessarie a ridurre l’eccesso sanzionatorio degli anni scorsi. Nel caso, occorre però anche preparare un programma per il reinserimento delle persone scarcerate, come fece nell’ultimo indulto del 2006 l’allora sottosegretario Luigi Manconi. E infatti la recidiva degli indultati fu molto bassa. Invece ora di forme di inserimento e accompagnamento non se ne parla proprio. Ho l’impressione che nelle casse dello Stato non ci siano i soldi per fare queste cose.

 

Lei chiede l’intervento del governo. Ma non sarà un atteggiamento un tantino corporativo? Perché non chiedete maggiori risorse per i tribunali?

Perché c’è anche il problema del lungo tempo necessario per mettere a frutto le eventuali risorse stanziate. Per aumentare gli organici occorre un decreto ministeriale e un bando di concorso che il Consiglio superiore della magistratura potrebbe emettere non prima di ottobre o novembre, dopo le elezioni interne di luglio. Ma se le pene sono illegittime, le scarcerazioni devono avvenire subito. D’altronde, nei miei uffici mancano il 38% del personale di cancelleria e due magistrati.  In queste condizioni, dopo che il secondo decreto Cancellieri ha previsto per la prima volta il reclamo giurisdizionale davanti al giudice di sorveglianza, come richiesto dalla corte di Strasburgo come rimedio preventivo, ho dovuto indicare i casi a cui dare priorità, i detenuti, mettendo da parte purtroppo i liberi sospesi, le riabilitazioni e l’estinzione delle pene. Anche se devo ringraziare il ministro Orlando che negli ultimi dieci giorni mi ha mandato 6 agenti di polizia penitenziaria. Il problema è che io li avevo chiesti due anni fa. E due ministri fa.