Informatico, poeta, etnobotanico, oltreché gran conoscitore di piante e droghe psicoattive, di cui sperimenta su di sé gli effetti, che ci descrive in prima persona, Dale Pendell si è mosso per anni a cavallo tra la ricerca scientifica su fisiologia e poteri venefici delle piante e la prassi dei loro usi storici e culturali: sciamanesimo, creazione artistica (per via mitologica e demonica), antropologia, erboristeria, etnofarmacologia, etnobotanica, neuroscienze. Indagando l’intersecarsi tra composti psicoattivi derivati da quelle distillatrici esperte di sostanze chimiche che sono le piante, e insetti, uccelli, animali, specialmente gli umani.

Una relazione, quella tra umani e popolo delle piante, che esiste in ogni parte del mondo sin dall’antichità, dalle «felci frattali» alle «rose algoritmiche», di cui evidenzia le forme e la dimensione di alleanza, in particolare con le piante maestre, nonché il riconoscimento a esse di uno statuto di soggetto.

Dopo la traduzione in italiano del primo e del terzo volume della serie Pharmako, rispettivamente dedicati a Poeia, veleni e arti erboristiche, e a Gnosis, allucinogeni e piante visionarie come ipomea, funghi psilocibina, peyote, Mimosa hostilis, la trilogia di Pendell si completa ora con Pharmako/Dynamys Piante eccitanti, pozioni e la via venefica (edizione originale 2002, add editore, pp. 307, € 25,00).

Empathogenica, come noce moscata, MDMA, Ecstasy, GHB, ma soprattutto Excitantia – caffè, tè e cacao, collocate nel loro contesto storico, per come quasi in contemporanea arrivarono in Europa verso la fine del Seicento, con al seguito zucchero per addolcirle e un Voltaire che Pendel definisce «il quintessenza dello sciamano del caffè», nonché poi in relazione con l’affermarsi dell’industrializzazione – ma anche mate, Cola nitida, betel, canapa gialla, khat, Erythroxylum coca.

Come in un’assortita guida di riferimento si susseguono e intersecano indicazioni botaniche e di proprietà terapeutiche, tassonomie e informazioni pratiche, ma anche note etnobotaniche, citazioni bibliche, letterarie, effetti sociali dell’uso degli psicoattivi. A ogni pagina, un catalogo di poesie, citazioni, illustrazioni, da Goethe a Poe, a Tlaltecatzinl, poeta amerindio , da Bruegel a Dürer, a Ernst, passando per foto etnografiche, diagrammi chimici, maschere rituali, poster, tappeti. Ci si perde e ritrova in una selva di corrispondenze, liste, classificazioni magiche e formule divinatorie, racconti di sperimentazioni personali, saperi indigeni, incontri con piante maestre, persone albero.

Se l’editore raccomanda di contestualizzare conclusioni e affermazioni alla personale visione del mondo dell’autore, che per parte sua avverte il lettore della struttura «tridimensionale e olografica» del testo, di certo Pendell, consapevole che «i libri stessi sono veleni», nel suo stile evocativo che procede tra virtuosistica erudizione e scrupolosa, autoironica pratica alchemica, scienza, folklore e poesia, tenta a ogni passo di incorporare la dimensione della coscienza nell’approccio della tradizione scientifica.

Nella costruzione del testo, in interlocuzione serrata con quella dell’autore si intromette – segnalata in corsivo – la voce della pianta-farmaco: l’Alleata. Se voci diverse evocano molteplici letture e livelli di analisi dell’opera, alla maniera di una sorta di alchimista, sciamano e poeta, oltreché ricercatore, Pendell consulta qui e fa parlare piante e sostanze alteranti in quanto alleate. Affermando come con le loro molteplici abilità trasformative, insite nella natura ambivalente dell’essere pharmakon, rimedio e veleno assieme, costoro risultino perciò interlocutrici a pieno diritto in un dialogo aperto tra diverse soggettività.