Ivan Pedretti, segretario generale dello Spi Cgil, oggi a Verona parte il vostro congresso dal titolo “L’interesse generale”. In un periodo così complicato, come pensate di rappresentarlo?
È la storia della Cgil che ha rappresentato nel tempo il sindacato generale, non solo gli interessi dei suoi iscritti. Come fece Bruno Trentin con il Protocollo sui redditi per far entrare l’Italia in Europa. Come sindacato dei pensionati noi non portiamo avanti una rappresentanza di settore, ma diritti di cittadinanza. La nostra rappresentanza generale è incardinata sull’idea di un nuovo welfare davanti alle trasformazioni epocali che stiamo vivendo: post pandemia, ambiente, tecnologia, invecchiamento della popolazione, denatalità. Se spunteremo una buona legge nazionale sulla non autosufficienza non sarà un buon risultato solo per i 3,3 milioni di anziani in queste condizioni, ma per tutte le loro famiglie e per il paese intero.

Il segretario generale dello Spi Cgil Ivan Pedretti – foto Ansa

Una legge nazionale per la non autosufficienza quando il governo punta sull’autonomia differenziata soprattutto sulla sanità è una grande sfida. A che punto siamo?
Dopo il via libera del governo Draghi la legge è incardinata in parlamento. Nonostante le modifiche del governo Meloni è una buona legge che però ha bisogno di risorse adeguate, sennò saranno i privati tramite assicurazioni a fornire i servizi. Per questo ho proposto una tassa di scopo rivolta anche ai pensionati per creare un grande fondo pubblico a gestione Inps per garantire che i servizi previsti siano fatti dal settore pubblico. Stiamo lavorando perché tutti gli anziani, senza differenze regionali, possano avere assistenza, case domotiche, servizi di prossimità.

Quattro anni fa la Cgil era divisa e l’interesse mediatico era tutto sulla lotta per la segreteria fra Colla (che voi appoggiavate) e Landini. Questa volta invece il congresso sarà unitario: cos’è cambiato?
È successo che, come avevo detto all’ultimo nostro congresso, lo Spi non sarebbe mai stato un elemento divisivo per la Cgil. Insieme abbiamo ricostruito l’unità e davanti ai grandi cambiamenti proponiamo un modello di sindacato più confederale, meno corporativo e verticale. Siamo davanti a un contesto drammatico: da una parte il rischio di guerra globale, dall’altro un lavoro sempre più spezzettato. Per questo dobbiamo investire sul territorio, sforzarci di parlare ai lavoratori e ai giovani, senza avere paura del conflitto, anche con loro: se non gli parliamo, sarà difficile che ci seguano. Dunque serve riunificare i settori, serve un contratto universale dei diritti, contratti di filiera e contrattazione territoriale fatta dalle Camere del lavoro assieme alle associazioni. Solo così si possono ottenere risultati sulla rigenerazione urbana, sulla sanità, sul trasporto pubblico. Di Vittorio chiedeva ai sindacalisti di andare nei campi, ora serve andare nei territori a cercare i lavoratori divisi dai contratti. Ricordando però che solo uniti possiamo farci ascoltare ed essere forti.

Sulla confederalità sta spingendo molto anche Landini chiedendo di far incontrare i lavoratori delle varie categorie. Al crollo della partecipazione e alla sfida di Meloni, che vi considera di parte e si considera invece portatrice dell’interesse generale, come si risponde?
Meloni punta a dividere il paese e fa gli interessi dei ricchi, come dimostrano il presidenzialismo, l’autonomia differenziata e lo stop al Bonus 110 che serve per trovare risorse per ancora più Flat tax per autonomi ed evasori, mentre ha tagliato la rivalutazione delle pensioni a 4 milioni di ex operai e lavoratori. Io, che ero in piazza della Loggia a Brescia mentre i fascisti facevano scoppiare una bomba in un comizio sindacale, non posso accettare di contemperare i giudizi sugli eredi di Salò e dell’Msi che rappresentano un governo fuori della Costituzione.

Dunque è sul rapporto con la politica che la pensate diversamente?
Iniziamo a dire che in politica non sono tutti uguali, che la sinistra nella storia ha portato conquiste e diritti ai lavoratori. Davanti al rischio di un’implosione democratica, dobbiamo ribadire il dovere del voto. Il sindacato ha bisogno di una politica sana, di una sinistra unita. Un fronte progressista che abbandoni l’austerità, la flessibilità nel lavoro, i partiti fluidi e che agisca per cambiare il modello di sviluppo e ricominci a migliorare le condizioni dei lavoratori, a partire dai più deboli.