Da qualche mese, sull’onda della ricorrenza del centesimo anniversario della nascita, si torna a parlare di Carlo Coccioli. Non è la prima volta che questo autentico outsider della letteratura italiana contemporanea riemerge dal limbo degli scrittori (immeritatamente) dimenticati. Già alla fine degli anni ottanta Tondelli gli aveva reso omaggio in alcune intense pagine, poi raccolte in Weekend postmoderno, mettendone in luce il «nomadismo culturale e metafisico assolutamente originale» e «l’assoluta fedeltà alle ragioni della propria scrittura e della propria ispirazione». Negli anni Duemila il principale fautore di Coccioli è stato Giulio Mozzi: nel 2006 fece ripubblicare da Sironi uno dei suoi romanzi più interessanti, Davide, dando avvio anche a un piccolo ciclo di interventi ospitati da Nazione indiana, che aveva già dato spazio a Coccioli (sul sito internet del blog si può trovare il commento entusiastico di un giovanissimo Roberto Saviano, ancora pre-Gomorra).

Nel 2010 Marsilio ripubblicò il piccolo gioiello Requiem per un cane, con una prefazione d’autore a firma di Marco Lodoli, e poi, nel 2012, il romanzo più famoso e controverso di Coccioli, Fabrizio Lupo – la prima opera della nostra letteratura che affrontò apertamente la questione dell’omosessualità –, accompagnato da un’importante scritto introduttivo di Walter Siti. Purtroppo il progetto di recupero di Marsilio non andò oltre i primi due titoli; e le altre opere di Coccioli poterono continuare a circolare solo grazie al meritorio impegno del nipote dello scrittore, Marco, e alla piccola casa editrice da lui fondata (Piccolo Karma). Ora Coccioli torna finalmente in libreria grazie a Lindau, che quest’anno ha già riproposto cinque titoli (Il cielo e la terra, L’erede di Montezuma, Budda e il suo glorioso mondo, Uomini in fuga e Le corde dell’arpa).

In occasione del centenario esce anche il romanzo-saggio di Alessandro Raveggi Il grande karma Vite di Carlo Coccioli (Bompiani «Narratori italiani», pp. 280, € 18,00), che è, tra molte altre cose, anche la migliore introduzione disponibile al mondo letterario magmatico e catturante dell’autore. Il romanzo prende il titolo da un misterioso testo inedito, che avrebbe dovuto essere l’opera definitiva di Coccioli, «la sua prima e ultima ossessione, l’alfa e l’omega del suo esilio in vita». Ritrovare il manoscritto del Grande karma diventa l’ossessione del giovane toscano Enrico Capponi, uno dei tanti precari della ricerca che però può contare su ingenti risorse familiari. A suggerirgli di occuparsi di Coccioli è stato il potente professore Paolo Merendoni (nomen omen?), che ha promesso a Enrico una svolta di carriera nel caso in cui la sua ricerca porti a esiti soddisfacenti. Cosicché Enrico si immerge completamente nell’opera e nella sfuggente parabola esistenziale di Coccioli: per approfondire le proprie ricerche, su suggerimento di Merendoni, decide di partire per il Messico, dove Coccioli aveva vissuto per cinquant’anni fino al 2003, l’anno della morte, e aveva pubblicato alcuni dei suoi libri più memorabili, scritti direttamente in spagnolo. Raveggi intreccia la vicenda di Enrico con la biografia di Coccioli, alternando capitoli di taglio saggistico con altri di respiro narrativo, a cui sono intercalati anche lettere e frammenti di diario (nella fattispecie il diario della promessa sposa di Enrico, che si sentirà abbandonata dopo la partenza del fidanzato). Il filone principale della narrazione rimane il racconto della vita, anzi, delle vite di Coccioli, di cui si ripercorrono le tappe col supporto di numerose citazioni da opere, articoli, interviste, carteggi (talvolta inediti), che si fondono in modo alchemico con il resto del testo.

Ripercorrere la storia di Coccioli significa attraversare molti luoghi: Livorno, la sua città natale; la Libia, dove era stato inviato il padre, sottotenente dell’esercito; l’Italia degli anni quaranta, dove Coccioli milita come partigiano nelle Brigate Giustizia e Libertà; la Firenze del dopoguerra, dove esordisce come romanziere, rimanendo presto deluso dal conformismo asfittico dell’ambiente letterario; Parigi, dove si trasferisce all’inizio degli anni cinquanta e trascorre alcuni anni decisivi prima di abbandonare definitivamente l’Europa. I capitoli di ambientazione francese sono forse i più riusciti. A Parigi il destino di Coccioli si incrocia con quello di Malaparte, che lo aiuta a imporsi all’attenzione del pubblico letterario francese (anche se il sodalizio tra i due maledetti toscani è minato da incomprensioni e attriti caratteriali, com’è inevitabile quando si incontrano due personalità così ingombranti).

Un’altra figura di spicco che stringerà uno stretto legame con Coccioli è Cocteau, omosessuale e cattolico sui generis, com’era anche lui; ma tra le frequentazioni parigine di Carlo non ci sono solo grandi nomi del mondo culturale (come Julien Green, il premio Nobel Mauriac, il filosofo Gabriel Marcel), ma anche Coco Chanel, conosciuta attraverso il tramite di Cocteau. In Francia Coccioli diventa in breve tempo uno scrittore di successo, tanto che, con i proventi delle vendite dell’edizione francese del Cielo e la terra (pubblicata da Plon nel 1950) può comprarsi un appartamento a Montmartre. Avrebbe potuto rimanere a Parigi e consolidare la propria fama; invece se ne va in Messico per seguire un certo Michel, detto L’Imagine, di cui si era perdutamente invaghito.

Da un luogo all’altro, e da una forma di religiosità all’altra: dopo una profonda crisi, si allontana dal cattolicesimo per accostarsi all’ebraismo e infine al buddismo. Seguendo la traiettoria fisica e metafisica di Carlo Coccioli può anche capitare di smarrirsi, come accade a Enrico nella finzione romanzesca, e accadde effettivamente ad alcuni lettori infatuati (noto è il caso di un giovane che si suicidò dopo aver letto Fabrizio Lupo). Raveggi evita tale rischio mantenendo tra sé e il suo scrittore un necessario diaframma, che garantisce anche l’equilibrio tra i molteplici piani narrativi.