«Questa è l’ultima volta che posso pensare fino in fondo. Da adesso bisogna che pensi a metà», così riflette, con tono quasi da filosofo, Angelo Tonin, mentre osserva la demolizione di uno dei fabbricati della sua azienda agricola, ora per sempre ridimensionata, che si trova esattamente sul percorso della Spv, la Pedemontana veneta.

Sono quasi tremila gli espropri compiuti in questi anni per portare a termine i 95 chilometri di superstrada ai piedi delle Prealpi, a collegare Montecchio Maggiore a Spresiano, tra le province di Vicenza e Treviso. Per provare a raccontare «i costi umani della Pedemontana», il regista Dimitri Feltrin ha messo insieme tre storie, tre cortometraggi, raccolte in Asfalto (con colonna sonora composta, tra gli altri, da Nicola Manzan, conosciuto per il suo progetto Bologna Violenta), film documentario prodotto dalla sua minuscola casa di produzione, Sandalo. Entrando in punta di piedi nelle vite degli espropriati, osservando i mutamenti, elaborando le perdite, dei beni privati come dell’ambiente collettivo.

Come accade anche nel libro di Paolo Malaguti Lungo la Pedemontana, la strada è ancora un fantasma, non si vede mai, si preferisce rimanere sempre ai margini di quello che è «il più grande cantiere aperto oggi in Italia», nonché ovviamente un’«opera strategica nazionale», come l’ha definita il presidente della regione Luca Zaia all’inaugurazione del primo tratto (era presente anche l’ex ministro dell’Interno Salvini) all’inizio di giugno.

Dimitri Feltrin, dopo una lunga esperienza come operatore in una televisione locale, decide di dedicarsi a tempo pieno al documentario. In questi anni ha prodotto diversi lavori, viaggiando dal Kenya ai campi profughi tra Siria e Turchia, e tornando spesso ad occuparsi del suo territorio, come con il documentario musicale dedicato alla band dei Los Massadores, o con Cresceranno le siepi, dedicato al tema dell’agricoltura biodinamica. Documentari portati in giro con decine proiezioni organizzate dal basso grazie ad associazioni e gruppi di cittadini. Asfalto nasce su impulso di Matteo Guidolin, sindaco di Riese Pio X, nel trevigiano, uno dei trentasei comuni attraversati dalla superstrada, che «si è reso conto che l’arrivo della Pedemontana rappresentava per il suo territorio un cambiamento epocale» spiega Dimitri Feltrin (a sua volta impegnato in politica, vicesindaco di Trevignano, altro comune attraversato dalla superstrada)

«Il sindaco ha pensato di coinvolgere un collettivo di fotografi, che si chiama Fotosocial, chiedendo loro di documentare la trasformazione che stava avvenendo a livello paesaggistico, in modo che rimanesse memoria di quanto c’era prima. Tra questi fotografi c’è anche Dario Antonini, che si occupa di mediazione artistica attraverso lo strumento fotografico. È lo stesso tipo di intervento che si usa per chi deve superare un lutto: attraverso la lettura delle foto di famiglia, si lavora sul rapporto con l’ambiente, con gli spazi della propria vita, cercando di superare il trauma della perdita».

Che è quella di un territorio ormai irreversibilmente stravolto. Una ferita immensa, che rende irriconoscibili luoghi ormai rimasti solo dei nomi sulla carta geografica. La terra, tuttavia, da queste parti si ribella a modo suo: frana, si sfalda, com’è accaduto a seguito dei temporali di ferragosto, che hanno causato il cedimento di un ponte canale nel trevigiano, o com’è stato nel 2016 quando il crollo all’interno di una galleria a Malo ha causato la morte di un operaio che lavorava al cantiere. Proprio il lotto tra Malo e Cornedo è a rischio sequestro a causa dei materiali scadenti che sarebbero stati utilizzati dalle ditte di costruzione, ora dissequestrato, facendo (per il momento) sparire l’ombra della cassa integrazione per un’ottantina di operai.

L’opposizione alla grande opera, tuttavia, pare non esistere. «Molti tendono a pensare che la Pedemontana sia un’opera calata dall’alto senza ascoltare i territori», riflette Feltrin. «Io credo purtroppo che questo non sia vero: la Spv c’è perché i veneti la vogliono. In un primo tempo, negli anni ’90, secondo me era percepibile un’opposizione abbastanza diffusa. Ma una volta individuato il tracciato, la battaglia non è più stata sulla Pedemontana sì o no, ma sul fatto che il percorso non passasse sulla mia proprietà, ma sulla tua. E questo ha causato una grandissima frammentazione all’interno delle comunità. Manca, oggi, una qualche forma di sentore collettivo nell’affrontare la questione. Che è stata spesso affrontata in maniera individuale, proprio perché chi ci ha avuto a che fare non ha incontrato alcuna forma di empatia o di solidarietà da parte dei vicini. Alle proiezioni ho visto delle comunità che si sono confrontate. A volte ci si è resi conto che la cittadinanza avrebbe potuto comportarsi diversamente. Non lo so se poi sia cambiato davvero qualcosa, ma mi auguro che qualcuno uscito da lì riesca a vivere con più vicinanza il rapporto con queste persone, che hanno comunque subito dei traumi molto forti».