Da una parte Quad, Aukus e sottomarini nucleari. Dall’altra esercitazioni con la Russia nei pressi del Giappone, missili ipersonici e basi militari. Il botta e risposta tra Usa e Cina prosegue e dalla sfera commerciale si è da tempo allargata a quella strategica. L’ultimo episodio è la prossima costruzione di una base cinese in Tagikistan: sarebbe la seconda all’estero dopo quella di Gibuti.

La notizia, data da Radio Ozodi e ripresa da Rfe/Rl, non arriva inattesa. La presenza militare di Pechino in avamposti non ufficiali nei paesi dell’Asia centrale è nota da tempo. Ma è significativo che ora si sia deciso di procedere all’annuncio, giunto direttamente dal parlamento di Dushanbe. Oltre ad aggiungere un tassello alla competizione con Washington, l’accelerazione arriva dopo la presa di potere dei talebani in Afghanistan e i seguenti timori di recrudescenze terroristiche.

Al netto delle futuribili opportunità commerciali, la prima preoccupazione di Pechino è quella della messa in sicurezza dei confini e degli asset nella regione. Necessità comune alle repubbliche ex sovietiche, che non a caso la Cina coinvolge attivamente nei dialoghi coi talebani.

La nuova base costerà 10 milioni di dollari e sorgerà nel Gorno-Badakhshan, regione teatro di una guerra civile negli anni ’90 e confinante col corridoio del Wakhan, lingua di terra che collega Afghanistan e Xinjiang. Durante un incontro col ministro della Difesa Wei Fenghe, il presidente Emomali Rahmon avrebbe anche offerto a Pechino di prendere senza costi il pieno controllo di una seconda base che, nonostante le smentite, sarebbe già in piena condivisione da tempo.

In cambio, Dushanbe chiederebbe il sostegno cinese al rafforzamento delle altre postazioni militari presenti lungo il confine. Il vuoto lasciato dagli Stati Uniti, come in altri casi, viene riempito dalla Cina. Ma stavolta, prima di capire se possono sorgere opportunità Pechino sta innanzitutto provando a evitare problemi. Senza comunque tirarsi indietro dal mandare segnali al rivale.