Prima un’iniezione di liquidità di 24 miliardi di dollari, la più alta dal 2014, poi il taglio dei tassi di interesse e il taglio dei coefficienti di riserva.

Sono i tentativi della banca centrale cinese di fermare il capitombolo finanziario, dato che anche ieri Shanghai sanguinava a -7. Le borse europee hanno «rimbalzato» euforiche per le iniziative della banca centrale cinese. Ieri infatti con una mossa a sorpresa le autorità finanziarie cinesi hanno deciso di tagliare i tassi di interesse di riferimento, riducendo così i costi di finanziamento per le imprese.

Sono stati ridotti di 0,25 punti percentuali ciascuno. Il tasso di rifinanziamento di riferimento ad un anno è stato tagliato al 4,6 per cento e il tasso di deposito è stato ridotto a 1,75 per cento. I nuovi tassi sono validi da oggi.

Poco dopo un altro annuncio: il taglio del coefficiente di riserva obbligatorio per le banche di 0,5 punti percentuali.

Il nuovo tasso, in vigore dal 6 settembre, è ora al 18%. La banca ha spiegato che la riduzione è stata decisa per mantenere ragionevolmente adeguata la liquidità del sistema bancario e promuovere la crescita moderata costante di moneta e di credito. Inoltre, la banca ha tagliato il coefficiente di riserva per le istituzioni finanziarie rurali di 0,5 punti percentuali per migliorare il supporto per le imprese rurali, piccole e micro. Nel frattempo anche in Cina – almeno sulla stampa – si è ammesso il lunedì nero delle borse cinesi che ha spaventato anche le piazze internazionali.

Dalla dirigenza, però, ancora nessun segnale. Si cerca più che altro di scacciare le paure di una crisi che anche se non sembra davvero vicina, di sicuro segna un momento di ripensamento del modello economico cinese. Quel passaggio augurato e sostenuto dalla nuova dirigenza, verso un’economia trainata dal mercato interno, ancora non è arrivato.

E i germi del mercato mondiale hanno finito per intaccare anche la leadership di un paese che da sempre propone un modello economico ambiguo e contraddittorio e che ora sembra sfuggire di mano ai suoi creatori.

Secondo Zhang Yu, analista presso Minsheng Securities, il governo cinese ha ancora gli strumenti per stabilizzare la crescita economica.

«Il settore finanziario, che ha contribuito alla crescita del Pil della Cina nel primo semestre di quest’anno, ha rallentato, ma i progetti di infrastrutture svolgeranno un ruolo maggiore nella stabilizzazione della crescita nella seconda metà dell’anno». Un altro problema aperto è quello del debito, passato da 7.000 miliardi di dollari nel 2007 a 28.000 miliardi di dollari del 2014, secondo uno studio della società di consulenza McKinsey riportato dal New York Times. «Al 282% del pil, il debito cinese è ancora gestibile ma è maggiore di quello degli Usa o della Germania» afferma McKinsey, sottolineando che ci sono «alcuni fattori preoccupanti. La metà dei prestiti è legata direttamente o indirettamente al mercato immobiliare, le banche-ombra non regolamentate rappresentano la metà dei nuovi finanziamenti e il debito di molti governi locali è insostenibile».

Non sono mancati vere e proprie disfatte economiche. Alcuni quotidiani nazionali ieri sottolineavano le perdite in borsa di personaggi noti nel paese.

È il caso di Wang Jianlin uno degli uomini più ricchi d’Asia che ha visto cancellati 2 miliardi di dollari dal suo pacchetto azionario alla Dalian Wanda Commercial Properties, «dopo che l’impresa immobiliare quotata ad Hong Kong è caduta del 17% al suo livello più basso dal momento in cui è diventata pubblica nel mese di dicembre».