«Non posso parlare di me e della mia segreteria» ma l’esito del primo turno delle amministrative «è qualcosa che incoraggia il lavoro che ho cominciato a fare. È un voto incoraggiante per me e per tutto il Pd». Il sospiro di sollievo di Guglielmo Epifani è tanto più profondo quante erano le incertezze, per non dire le fosche previsioni della vigilia delle amministrative. A Roma e nel resto d’Italia il Pd tiene, anche se – e non è un dato irrilevante – metà elettorato resta a casa. Epifani non grida vittoria, non potrebbe, del resto il suo insediamento è recente. Ma è vero che il test amministrativo è stata la sua prima preoccupazione dopo l’elezione alla segreteria dell’11 maggio. Ed è vero che fin lì la segreteria Bersani, affaccendata nel disastro del governo, era rimasta fredda nei confronti degli amministratori che, sui territori, si battevano per far argine al crollo d’immagine di un Pd diventato larghintesista. Epifani invece ha dato una mano ai candidati: per esempio a Marino, a Roma, ha provato a mobilitare il partito; tenendosi però a distanza dal palco della chiusura a San Giovanni, rispettando la scelta del candidato di non sovrapporre la sua immagine «civica» con quella del Pd nazionale alleato con il Pdl, il partito del sindaco uscente Alemanno.

Per ora è andata bene, almeno rispetto al previsto. Anche perché l’M5S ha registrato una battuta d’arresto. E i bersaniani, dopo il calvario del ’governo di cambiamento’ che guardava alle 5 stelle, poi sfumato, ora possono cavarsi il gusto di dirlo: «Mi pare che si possa dire che il M5S e Beppe Grillo abbiano perso la loro grande occasione di cambiamento. Chissà se ripassa», twitta Stefano Di Traglia, portavoce dell’ex segretario. Stasera Bersani per la prima volta torna in tv – sarà a Ballarò – dopo le dimissioni; chi ci ha parlato riferisce che non mancherà di esprimere la soddisfazione per la ’tenuta’ di un partito dato per balcanizzato e moribondo alla fine della sua segreteria.

Intanto Epifani convoca una conferenza stampa per sottolineare «il segnale importante, in una fase in cui è in crescita la disaffezione con un astensionismo molto, molto grande», e il segnale è che i candidati del Pd tengono, un po’ ovunque, dalle città della crisi profonda del partito, Siena, a quelle dell’inamovibilità del centrodestra, Treviso; persino a Viterbo, feudo storico della destra, il Pd è avanti al ballottaggio (ma è un trucco contabile, il Pdl si è spappolato in mille rivoli e si appresta alla rappattumazione del secondo turno). Ma non è tempo, per il Pd, di guardare dentro il proprio risultato. A scrutinio ancora in alto mare, com’è quando Epifani prende la parola al Nazareno dalla plancia di comando che fu di Bersani, si sottolinea lo scampato pericolo. L’astensionismo però è il vero dramma della competizione: «È una tendenza che andrà analizzata perché è un dato che non deve essere sottostimato», ammette, «bisognerà recuperare la fiducia di quella parte dell’elettorato che non ha voluto votare».

Chi ha le idee molto più chiare sull’astensionismo è Nichi Vendola, che accorre a Roma esultare della prima parziale vittoria di Marino, ma sottolinea: «L’astensionismo è un segnale per il governo innanzitutto, è un segnale figlio della nascita di un governo che non avrebbe mai dovuto nascere. Tanta gente si è astenuta perché non ci crede, è spaventata, disincantata. Il governo delle larghe intese produce larghe astensioni». Secondo i primi dati, Sel ha preso un risultato lusinghiero, intercettando almeno un po’ del voto in fuga dal Pd. A Roma sta intorno a quota 6 per cento.
E nessuno nella coalizione Roma bene comune, dal suo candidato sindaco fino a ciascuno degli alleati passando per buona parte del comitato elettorale di Marino, nega che dentro la battaglia romana per la riconquista del Campidoglio si giocava anche la scommessa del rilancio del centrosinistra. Sconfitto alla elezioni politiche, archiviato dalla governo delle larghe intese con il Pdl e Scelta civica, ma sopravvissuto e in corsa – se non ancora vincente – alle amministrative. «Con questa ultima tornata possiamo dire che il centrosinistra governa tutti i capoluoghi di regione», spiega Davide Zoggia su Youdem Tv, segnalando la linea di tendenza. In realtà non è così (a Napoli e a Palermo, governano due sindaci esterni al centrosinistra). Ma soprattutto ora ’fuori linea’ è il governo Letta, con il Pdl . «I nostri elettori hanno saputo distinguere», è sicuro Zoggia. Che gli elettori abbiano mandato un avviso di sfratto alle larghe intese per ora al Nazareno non è neanche un’ipotesi.