Un gesto «di responsabilità» verso chi fin qui si è mobilitato per lui, «per non sprecare il nostro percorso». Con un post su facebook Matteo Richetti ritira la sua corsa alle primarie Pd, lui che si era lanciato per primo, e accetta la proposta di Maurizio Martina: convergere in un ticket. L’operazione porta la firma di Graziano Delrio, il presidente dei deputati dem che i suoi amici ex margherita – renziani – avevano provato a convincere della necessità di sostenere Marco Minniti. Delrio non sosterrà l’ex ministro dell’interno. Non nelle prime fasi del congresso almeno. Pesa sulla scelta il duro scontro del giugno 2017 sull’ipotesi di chiudere i porti alle navi delle Ong cariche di migranti. Ipotesi minnitiana, ora attuata dal leghista Salvini. Dopo il voto degli iscritti e quello dei gazebo si vedrà: c’è chi giura, non solo fra gli avversari, che il patto fra Martina e Minniti è già stato firmato.

Minniti non commenta. Zingaretti neanche, ma i suoi non si tengono: «La decisione di Richetti di andare in ticket con Martina chiarisce tanti equivoci», attacca Monica Cirinnà, una delle più attive sostenitrici del presidente del Lazio. «La storia comune come portavoce di Renzi l’uno e di vicesegretario di Renzi l’altro va così a riunirsi in una proposta politica in piena continuità con renzismo». Michele Anzaldi ricorda alla senatrice, paladina dei diritti, che grazie a Renzi è stata approvata la legge sulle unioni civili. Ma soprattutto: «Come si fa a sentir lanciare fantomatiche accuse al ’renzismo’ da chi conta tra le proprie file un’ampia schiera di autorevoli ex ministri del governo Renzi?». «Se ci sono persone che uniscono le loro forze per una prospettiva comune è un bene. Basta divisioni», dice Andrea De Maria, ex orlandiano poi passato al renzismo proprio via Martina, che di Renzi era il vice nel partito. E che alle primarie del 2017 con lui si presentò in ticket (dopo la vittoria di quelle primarie Richetti verrà nominato da Renzi portavoce della segreteria).

Per i sostenitori di Zingaretti il ticket Martina-Richetti è solo l’ultima mossa per rimettere insieme i cocci della ex (ex?) maggioranza renziana sotto la guida di Minniti. Come esempio indicano quello che sta succedendo in Sicilia, dove già l’area di Minniti e quella di Martina – ovvero i renziani – sostengono Davide Faraone alle primarie per il segretario regionale Pd che si voteranno il 16 dicembre.

L’ulteriore guaio è che a Faraone è appena arrivato l’appoggio di Sicilia Futura, una lista che in regione ha più volte appoggiato i provvedimenti del presidente ex missino Nello Musumeci. Fausto Raciti, segretario regionale uscente, nega che il puzzle politico dei dem dell’isola sia proiezione di quello romano: «Qui il regionale segue pura logica siciliana. E solo Zingaretti si è mosso come area» – sostiene la candidata Teresa Piccione – «tutti gli altri liberi», spiega.
Torniamo a Roma. Le menti più sofisticate del Nazareno spiegano che la vittoria di Minniti è l’unica possibilità di tenere unito il partito: leggasi evitare che Renzi e i suoi escano dal Pd, cosa che, in caso di vittoria di Zingaretti, in molti hanno praticamente già annunciato al seminario di Salsomaggiore. Per questo serve l’«aiutino finale» di Martina nel caso nessuno raggiungesse il 50 per cento ai gazebo.

Ieri Zingaretti ha incassato l’appoggio dell’ex capo dei probiviri Pd Luigi Berlinguer. Ma nel frattempo in regione deve incassare una improvvisa e per certi versi inspiegabile fibrillazione. Forza Italia ha depositato una mozione di sfiducia. Un gesto di bandiera, nella convinzione che sarà bocciata (nessuno nelle opposizioni vuole tornare a votare). Ma nei cellulari della maggioranza è arrivato questo messaggio: «Qualche amico di Renzi, di centrodestra, sta cercando di farvi ballare». Messaggio archiviato subito alla voce veleni, naturalmente.