C’è un piano B sull’art.18. Ci sta lavorando chi, come Matteo Orfini, presidente del Pd ma anche capofila dei giovani turchi, comunque chiede l’unità del partito e anzi per convincere i suoi (ex) compagni della sinistra rispolvera le vecchie carte. «Le distanze non sono così ampie», spiega, in direzione «si può trovare» la soluzione unitaria che scongiuri una «battaglia in parlamento», perché una volta che la direzione ha votato «l’impegno è rispettare la maggioranza». Anche formale: «Abbiamo tutti firmato su richiesta di Bersani, quando ci siamo candidati alle politiche, che l’impegno è rispettare le decisioni della maggioranza nei gruppi parlamentari e nella direzione del partito».

Il riferimento è alla famosa – all’epoca, ma oggi ormai seppellita dagli eventi – ’Carta di intenti’ della coalizione Italia bene comune, anno del signore 2013. All’art.10, sotto il titolo ’Responsabilità’, si legge: «Vincolare la soluzione delle controversie relative ai singoli atti o provvedimenti rilevanti a una votazione a maggioranza qualificata dei gruppi parlamentari convocati in seduta comune». La storia però è nota: la coalizione, «non» vittoriosa al voto del 2013, si sfasciò alla prima curva. Prima Sel non accettò di votare Franco Marini al Quirinale. Poi 101 voti incappucciati fecero mancare il loro voto a Romano Prodi. Infine la legislatura si avviò verso il governo Letta e le larghe intese con Berlusconi. I vendoliani passarono all’opposizione.

Ora Orfini riesuma quell’art.10, cui il segretario di allora teneva molto per evitare una riedizione del centrosinistra rissoso. «Bersani era l’estensore di quel passaggio. E sarebbe curioso che fosse proprio lui a non rispettarlo, dopo averci spiegato per un anno che quella norma serviva a fare di noi un ’soggetto politico’ e non uno ’spazio politico». Era l’epoca del Pd delle mille correnti, «il più grande gruppo misto della storia della nostra repubblica», nella memorabile definizione di Cuperlo.
Però secondo Alfredo D’Attorre, fra i più combattivi dell’area riformista, il ricorso a quelle carte non vale più: «Non scherziamo. Chiedetelo ai renziani se le rispettarono. Non votarono per Marini». Anche Bersani, sull’Huffington Post, respinge la mozione disciplinare: «I senatori e i deputati sono stati eletti sulla base di un programma, e in questo programma, così come in quello con cui Renzi ha vinto le primarie, non c’era l’idea di cancellare una volta per tutte l’art. 18».

Il premier da Auburn Hills, nel Michigan, dove incontra l’ad Marchionne nel quartier generale di Fiat Chrysler, tira dritto. Spaccature nel Pd? «Non vedo questo rischio». Il dibattito del partito? «Non mi interessa cosa pensa questo o quell’esponente del mio partito, ma di restituire un po’ di lavoro al Nord come al Sud». E sull’oggetto dello scontro, l’art.18 e il reintegro dei licenziati senza giusta causa: «Se è una scelta politica, che rispetto, mi domando: è la scelta migliore per il sistema italiano? È una scelta che assicura la riduzione della disoccupazione? È una scelta che garantisce i diritti? Perché qualcuno ha diritti di serie A se sta in un’azienda di 15 dipendenti e di serie B se i dipendenti sono 14».
All’antivigilia della direzione di lunedì, ormai, il frontale fra Renzi e le minoranze è dato per scontato. Chi in queste ore ha parlato con il premier, direttamente o via sms, ha avuto la conferma che «non aprirà»: tradotto, asfalterà le minoranze. In diretta streaming.

Anche per questo l’area turca, Orfini in testa, che pure chiede alle opposizioni interne di rispettare il voto della direzione, lavora a un piano B. Una soluzione che in qualche modo salvi alcuni diritti dei lavoratori, lasciando a Renzi la vittoria simbolica sull’art.18. Che evidentemente è intenzionato comunque a prendersi.

Nulla di scontato, né di facile scrittura. Difficile da portare a casa in mezzo al fuoco incrociato delle minoranze che chiederanno, come fanno da giorni D’Attorre e Fassina, di ’vedere’ subito la legge di stabilità, per verificare l’entità effettiva degli stanziamenti sulla riforma degli ammortizzatori: una voce che dice tutto delle reali intenzioni del governo. Per questo Civati chiede chiarezza: «Circolano voci incontrollate di una possibile mediazione sul tema dell’arti. 18, mentre il segretario continua a negare che vi possano essere compromessi». Per questo alla direzione «sarebbe corretto avere un documento scritto con i dettagli» per poter valutare «con la necessaria attenzione e discutere nel merito». «Un testo e un foglio excel», conclude Civati, «come lo stesso Renzi aveva chiesto a Letta. Mi rivolgo in particolare al vicesegretario Guerini: la discussione è proficua quando tutti ne possono valutare con precisione i termini. Anche per evitare fraintendimenti».