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Pd, primarie della madonna

Pd, primarie della madonnaMatteo Renzi, sindaco di Firenze e candidato segretario del Pd, ieri all'assemblea nazionale del Pd

Democrack 8 dicembre, è la data che, alla fine di giorni di trattative, Epifani propone per la conclusione del congresso. Renziani in rivolta. Il sindaco: «Il governo risolva i problemi del paese». Diffidenze reciproche e accuse aperte. Così oggi l’assemblea dem darà il via alle assise. Ma sulle regole nella notte si tratta ancora

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 21 settembre 2013

La guerra in Siria, il ricatto di Berlusconi, «non accetteremo il bis del film di Monti», lo «sforzo di Letta», l’aumento dell’Iva, «sarebbe profondamente sbagliato». Guglielmo Epifani suda, carica con gli esclamativi, sfodera un’oratoria del consumato sindacalista. Ma la platea dell’auditorium della Conciliazione di Roma, dov’è riunita per il primo giorno di lavori l’assemblea nazionale democratica che deve decidere la data delle primarie, non lo ascolta. Almeno per i 50 minuti di discorso che precedono l’annuncio della data del congresso. «Propongo», dice finalmente il segretario, «l’8 dicembre». Boato di insoddisfazione. L’ex segretario Bersani, solo, dalla prima fila, si gira e scruta la platea come si guarda un figlio di cui non si riconoscono più le parole. Dopo Epifani sale sul palco il giovane Paolo Cosseddu e sfoga la sua rabbia, «siamo venuti qui per discutere, e invece».

E invece non c’è ancora niente su cui discutere: dopo una notte di trattative, una mattinata di riunioni del comitato dei saggi sulle regole, e dopo i contatti anche fra i candidati Renzi e Cuperlo, dall’altra parte di Roma, alla sede del Nazareno, si tratta ancora. Si tratta su tutto, anche sul fatidico art.3 dello statuto, quello sul segretario candidato naturale a palazzo Chigi.

Al 15esimo minuto del discorso di Epifani arriva Matteo Renzi e va a sedersi nelle ultime file in alto. Le telecamere si girano. Lui, mentre Epifani parla, traffica con lo smartphone. Alla fine va via senza quasi parlare. «Aspetto le regole», dice. Preferisce riservare le sue dichiarazioni per la trasmissione 8 e mezzo, su La7, dove lo aspettano. E per l’intervento che molto probabilmente farà oggi.
Sulle regole del congresso Renzi, che sente già di essere il vincitore, non vuole fare troppe polemiche. «La gente non ci capirebbe», spiega ai suoi. Che invece lo spronano a reagire. Non solo sulla data, quanto sul core business della trattativa che – in serata – è ancora in corso: i congressi regionali. Renzi chiedeva che fossero svolti in contemporanea con le primarie, come fu nel 2009. I bersaniani impongono che siano svolti dopo le primarie nazionali. Non è cosa di poco conto: nel 2014 i segretari regionali gestiranno la partita delle liste per le amministrative (il 70 per cento dei comuni italiani in primavera andrà al voto) e per le regionali di maggio.
Quanto al giorno dei gazebo, Renzi aveva chiesto di velocizzare il congresso – per mesi frenato, impedito, sventato e slittato. Ma al 24 novembre i bersaniani hanno opposto il 15 dicembre, voluto dalla troika Bersani-Epifani-Letta.

Anche qui, non è una robetta da calendario. Chi spinge per anticipare le primarie avrebbe l’intenzione – ma nessuno lo ammette apertamente – di puntare una crisi di governo entro fine anno per approfittare dell’unica finestra elettorale del 2014, quella della primavera per tornare al voto. Del resto Renzi con i suoi non fa mistero di puntare alla candidatura da premier in tempi brevissimi, temendo che una permanenza lunga alla segreteria del Pd logori la sua popolarità. Lettiani e bersaniani invece oppongono l’ultima data possibile del 2013, appunto a metà dicembre, proprio per «chiudere» quella finestra. In mezzo ci sono i giovani turchi di Matteo Orfini, poco larghintesisti: temono che accettare primarie così vicine al Natale le esponga «al rischio di slittamento». Alla fine la mediazione arriva sull’8. Cuperlo la benedice. I renziani no, parlano di «blitz»: «Noi abbiamo sempre detto che andava fatto prima. Aspettiamo di vedere la regole», dice Simona Bonafé. E Luca Lotti: «Ma se la commissione è ancora riunita non è una contraddizione indicare una data prima di aver fatto un accordo complessivo?». Per Paolo Gentiloni «la questione sta diventando surreale. Sono tre mesi che stiamo discutendo, il congresso va celebrato ma c’è chi ancora mette ostacoli». Il candidato Pippo Civati twitta: «Lo sposteranno al 15, scommettiamo?».

«Il vero problema che questo congresso, visto come sta partendo, rischia di discutere di nomi ma non di contenuti. La data non mi sembra un problema serio», ragiona il ministro Andrea Orlando, «almeno in un partito in cui c’è un clima di fiducia reciproca».

Ma il punto sta proprio qua. Il Pd è attraversato da mille correnti di sospetti e diffidenze. Il candidato Pittella, insieme a Bettini, Puppato, Casson, attacca: «Da Roma si tengono stretti le tessere impedendo il regolare svolgimento del tesseramento nei territori». Beppe Fioroni sospetta che «facciamo un dibattito sulla data non per avere un partito che aiuti il governo, ma per avere un partito che ci faccia votare a febbraio». Ce l’ha con Renzi. All’auditorium vicino al sindaco di Firenze si va a sedere il lettianissimo Francesco Sanna. I due parlano fitto, e alla fine il sindaco scherza con i giornalisti: «Per noi lettiani, io e Sanna, ha parlato Sanna». Che dice: «Le primarie il giorno della festa dell’Immacolata concezione? Vuol dire che nascerà un segretario senza peccato». Più tardi però Renzi, a La7, attacca di nuovo Letta: «Oggi il governo deve decidere se rilanciare sui grandi temi o lasciare passare questa difficile stagione cercando di accontentare una volta gli uni, una volta gli altri». Elezioni in vista? «Non mi pare. C’è un governo del ’tutti insieme appassionatamente’. E in quel governo ci sono dei problemini. Ma vogliamo cercare di risolvere i problemi del paese?».

Stamattina toccherà al ’saggio’ Roberto Gualtieri, esporre in assemblea la proposta unitaria sulle regole. Sempreché una proposta unitaria ci sia.

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