«Io non voglio andare al voto, farò di tutto per andare avanti con il governo, noi diciamo prima l’Italia, ma questa maggioranza deve cambiare passo, deve litigare meno e produrre più fatti». Su Sky Tg24 Nicola Zingaretti aggiusta il tiro. Le cronache dei giornali parlano di un segretario Pd che ha finito la pazienza con gli alleati riottosi – leggasi Renzi e Di Maio – in un governo traballante dopo il risultato umbro. In regione il Pd ha sostanzialmente tenuto. E sul piano nazionale si votasse domani, sottolinea Zingaretti, «il Pd è il primo partito» fra quelli oggi al governo. Il messaggio ha sortito l’effetto di un bagno di realismo sugli alleati. Ma ora il segretario chiarisce che il suo partito non ha intenzione di staccare la spina.

EPPURE QUALCHE FIBRILLAZIONE arriva anche dal fronte interno al Nazareno. «L’alleanza strutturale con i 5 stelle», di cui parla il segretario, crea non pochi malumori. E così l’automatismo con cui sembrerebbero avviate le alleanze anche per le prossime regionali, almeno al netto di novità dal lato grillino. «Ogni regione sceglierà le alleanze», assicura Zingaretti.

ORA AL NAZARENO si allarga il fronte della richiesta di un congresso. Dalle ultime assisi la linea è cambiata, e sono in molti a chiedere un passaggio formale per sancire quella nuova. Innanzitutto quelli che intendono avversarla, come i giovani turchi di Matteo Orfini: «Abbiamo annullato il Pd nel nome della costruzione di un nuovo centrosinistra, ma nessuno sa più cosa è il Pd e cosa vuole fare», spiega su Avvenire, «ora concentriamoci per il voto in Calabria e Emilia, poi però si faccia il congresso, perché non è nel mandato di Zingaretti l’accordo con i 5s. Quindi se si vuole rilanciare l’alleanza c’è l’obbligo di chiamare tutti gli elettori a pronunciarsi».

ORFINI È A CAPO di una minoranza. Ma a chiedere il congresso ormai sono anche le aree che sostengono Zingaretti e – anche – le alleanze con M5s. Lo chiede Gianni Cuperlo, che dal segretario è stato nominato a capo della Fondazione Pd e che in questi giorni organizza la tre giorni di «riflessione» a Bologna, dal 15 al 17 novembre.

MA SOPRATTUTTO lo chiede apertamente il vicesegretario Andrea Orlando. «Serve un congresso», ha spiegato ieri ai cronisti di Montecitorio, «un congresso vero», è la sottolineatura. Messaggio tutto interno: nella bozza di nuovo statuto Maurizio Martina, a capo della commissione interna che si occupa della riforma di quel testo, ha proposto l’introduzione della possibilità di un «congresso straordinario per tesi su proposta del segretario». Un escamotage che consentirebbe discutere – e approvare formalmente – la nuova linea del Pd ma senza riaprire i gazebo e rifare gli organismi dirigenti prima della scadenza statutaria. Opportunità, quest’ultima, che alla fine potrebbe non dispiacere al segretario.

ZINGARETTI PER ORA si tiene alla larga dalla questione. «Io penso alla Calabria e all’Emilia», ha risposto ieri ai suoi. Le due regioni con ogni probabilità andranno al voto insieme il 26 gennaio. Per l’Emilia è già stabilito. Quanto alla Calabria il presidente Mario Oliviero – dato in avvicinamento a Renzi, come l’ex presidente umbra Katiuscia Marini – avrebbe deciso di dimettersi più tardi possibile, in tempo per tornare al voto quello stesso giorno. E di candidarsi comunque, anche senza l’appoggio del Pd