Il miraggio di una navigazione relativamente tranquilla per tutto il 2014, dura meno di 24 ore. Mentre da New York Enrico Letta ripete il suo mantra, «La stabilità prevarrà», a Roma il vero regista e capo dello Stato sonda i duellanti di maggioranza, Alfano per l’ex Pdl, Franceschini e poi lo stesso Epifani per il Pd. Vorrebbe garanzie precise. Non le ottiene.
La stabilità è nel cuore di Angelino l’eterno delfino quasi quanto in quello dell’eterno inquilino del Colle. Per quel che può farà da sponda al Quirinale. Ma un impegno preciso non lo può prendere. Ufficialmente l’ostacolo è uno solo e si chiama fisco. In realtà ce n’è un altro anche più ostico, l’imbizzarrimento permanente del gran capo. Berlusconi non è in grado di dire cosa farà domani, figurarsi se può prendere impegni a lunga scadenza.

Non è un modo di dire. Ieri mattina il Furioso vagheggiava ancora incursioni televisive all’arma bianca, per la gioia del dottor Vespa, candidato numero uno ad accogliere lo sfogone. Ghedini e Coppi si sono messi di mezzo. Con i fucili di non si sa più quante procure puntati, con De Gregorio che se la canta come uno stormo di usignoli, con il Ruby-bis (l’inchiesta sul tentativo di condizionare i testimoni del Ruby-1) che minaccia di costringere Berlusconi a non poter più incontrare quasi nessuno, ci manca solo una bella sparata televisiva anti-toghe.

Il tormentato ci ripensa, cancella i teleappuntamenti, però la furia incalza e d’impeto progetta una riunione congiunta dei gruppi parlamentari per venerdì o sabato. Nessuno giurerebbe che nelle prossime ore non ci ripenserà. Il mandato per Alfano sulla via del Colle è comunque chiaro: «Nessuna cambiale in bianco».

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Neppure il Pd può allargarsi in garanzie. D’accordissimo sull’esigenza di difendere la stabilità. Prontissimi a difendere il governo Letta in ogni modo. Però non si può mai dire. Anche perché prendere impegni per un futuro segretario che non si sa chi sarà non è facile.
Il presidente ha una sola arma per opporsi alle forze che spingono verso lo spappolamento del «suo» governo, ma è di quelle potenti. Non deflettere di un millimetro dalla linea sin qui tenuta e circoscrivere rigidamente il perimetro delle opzioni possibile. Più prosaicamente: ripetere che di elezioni a breve non se ne parla proprio. O almeno che lui farà quanto in suo potere, e non è poco, per evitarle. Sinora, nell’ondeggiamento perenne di tutti gli altri attori sulla scena, la fermezza del Colle ha funzionato. Ha impedito l’implosione. Napolitano non nessuna intenzione di cambiare strada.
La conclusione s’impone da sé. Il governo continuerà a navigare a vista, costretto ogni giorno a schivare nuovi scoglie e nuove tempeste. «Adesso vogliono cacciare Berlusconi anche dal suo partito», tuonava ieri la Gelmini, che non è un rapace, dopo la rissa sul tetto al finanziamento ai partiti, il quotidiano scontro a fuoco di turno. E poi l’Iva, l’Imu che balla e ballerà molto di più, la decadenza del senatorissimo, i processi e le inchieste incombenti sul capo del medesimo. Non sarà una navigazione tranquilla neppure per un secondo e parlare di stabilità certa per un anno, in queste condizioni, sarebbe una barzelletta.
Neppure Enrico Letta, però, ha intenzione di demordere. «La verifica – ripetevano ieri i suoi collaboratori – sarà la legge di stabilità». Il premier è deciso a fare di quella scadenza un passaggio decisivo, tale da vincolare i partiti di maggioranza al suo governo persino contro la loro stessa volontà. Al momento, però, è difficile immaginare che tanta determinazione non si risolva in pura velleità. Su un punto almeno, infatti, il cavalier ruggente ha le idee chiare. Negli ultimi mesi il suo partito ha finto di non accorgersi dei giochi di prestigio con cui il governo spacciava per coperture certe le sue pie speranze. Non ha chiuso gli occhi per ingenuità ma perché sperava nella «pacificazione» (cioè nella salvezza del capo) come contropartita. Quel gioco è finito. D’ora in poi sui conti del governo non saranno appuntati gli occhi dell’apposita Corte ma anche quelli di Forza Italia.
Ma da ieri la gestione del gioco è passata completamente e nelle mani del Colle, che a sera fa filtrare un rapporto positivo. I segnali sono «incoraggianti». Insomma, il patto di stabilità è impraticabile. Però il Colle è convinto di avere comunque il gioco in mano.