«Essere donna, di per sé, non è un valore» e le deputate scelte da Renzi come capolista alle europee «sono donne usate a fini di marketing secondo la migliore tradizione berlusconiana: quattro veline e Renzie a fare il Gabibbo. Una presa per il culo, ma tinta di rosa». Grillo alza i decibel, scatena la reazione orgogliosa del Pd («misogino», e «Grillo ha paura», dice Lorenzo Guerini). E finisce per fare un regalo al segretario-premier.

Oscurando, con la polemica sulle donne-spot, il caos scatenato dentro il Pd dalle liste per il 25 maggio. Varate dalla direzione di mercoledì, ma non ancora definitive: in Sicilia la sindaca di Lampedusa Giusi Nicolini lascia, amareggiata dal balletto che l’ha vista scalare da prima a terza: «In direzione sono prevalse altre logiche che privano di significato la mia candidatura», dice. Nella lista balla anche il nome di Fausto Raciti, il segretario regionale che si è visto di colpo cambiare i nomi proposti al Nazareno (una scelta attribuita a una trattativa fra il vicesegretario Lorenzo Guerini e il renziano della Sicilia Davide Faraone). Anche Raciti medita di lasciare. Deciderà nelle prossime ore; mentre nel frattempo balla anche la maggioranza del governatore Crocetta, dopo un rimpasto concordato ancora con Faraone e di nuovo a dispetto dello stesso Raciti, che non ha fornito nomi ’di area’ (è un giovane turco) per la nuova giunta. E non intende farlo: per non legittimare un esecutivo che risponde direttamente e solo al governatore.

Il segretario-premier sabato a Torino lancerà la campagna elettorale, per le europee e per le amministrative (vanno al voto 4mila comuni e due regioni, Piemonte e Abruzzo). Ma i dossier ancora aperti non sono pochi. Il «ciclone» Renzi ha investito le liste della circoscrizione sud e quella delle isole, facendo saltare nomi e nervi. La scelta di sostituire con un colpo di mano tutti e cinque i capilista con cinque donne (Mosca, Moretti, Bonafé, Picierno e Chinnici), sebbene di cinque correnti diverse, ha scontentato i big di tutta Italia, che ora devono faticarsi di più l’elezione.

A Roma, per esempio, la partita fra nomi di peso si giocherà fino all’ultimo voto. E l’elezione blindata di Simona Bonafé sottrae preziosi dividendi elettorali ai candidati storicamente insediati in città (David Sassoli, Roberto Gualtieri, Silvia Costa, Goffredo Bettini, e Enrico Gasbarra, comparso a sorpresa in zona Cesarini per l’insistenza degli ex ppi).

Ma il vero pasticciaccio, un pasticciaccio che può avere una coda lunga e velenosa, rischia di essere quello che Renzi ha combinato, probabilmente a sua insaputa, in Puglia. Qui l’atterraggio in pole position della giovane Franceschiniana Pina Picierno ha provocato l’ira funesta del sindaco di Bari Michele Emiliano, che si considerava capolista di diritto da tempo, forse sin dalla campagna per le primarie, che non a caso Renzi fece partire proprio dal capoluogo pugliese.

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Ora Emiliano ha formalizzato la sua rinuncia alla corsa. Non accetta di non godere del benefit elettorale del primo posto in lista, che invece andrà a Picierno. Renzi ha provato a dissuaderlo, poi almeno a metterci una toppa dichiarando al Tg3 la sua «stima» per il sindaco, del resto suo esplosivo fan e sponsor. Ma «il punto è politico», spiega Renzi: «Arriva un momento in cui, dopo settimane e settimane durante le quali tutti hanno detto ’che vergogna, non si fanno leggi sulla parità di genere’. Noi abbiamo riposto con i fatti». Tradotto: uno spot per riabilitare la propria immagine dinanzi alle votanti val bene un Emiliano. Ammesso che funzioni.

Ma Renzi, «rullo compressore», «torrente impetuoso», va troppo veloce per avere il tempo di ricordare che la Puglia, da anni, è un terreno minato per il Pd. L’epistolario delle divisioni del partito regionale ingombra un intero scaffale, al Nazareno. Fu un grattacapo per Veltroni, Franceschini e Bersani. Sbollita l’ira ieri Emiliano si è sfilato. Ma anziché scassare tutto ha raccontato di aver avuto una telefonata «lunga e cordiale» con Renzi, di aver condiviso la scelta di Picierno, e di aver concordato che ora la sua presenza in lista è «superflua», mandando al suo posto à il giovane dem Stefano Minerva.

Ma la scelta di lasciare il fronte delle europee e di dedicarsi, come gli chiede il Pd pugliese, alle regionali del 2015, rischia di aprire, nei prossimi mesi, un altro caos nel Pd e nella coalizione.Il presidente Nichi Vendola, che pure qualche tempo fa aveva lasciato intendere che avrebbe potuto «autorottamarsi» alla fine del suo secondo mandato, a marzo 2015, al momento invece non esclude di ricandidarsi. Cosa auspicata, e pubblicamente, dal prestigioso storico Beppe Vacca, direttore della Fondazione Istituto Gramsci, e dall’ex ministro Fabrizio Barca, per dire di due autorevoli esponenti di area Pd. Uno scontro fra i due, Emiliano e Vendola, sarebbe la cosa meno augurabile, in una regione in cui la destra, pure funestata dai fallimenti e dalle inchieste giudiziarie, non ha mai perso abbastanza da dare per scontati i risultati del centrosinistra.

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