«La discussione è appena iniziata». Stavolta Matteo Renzi ha davvero un problema. Per il secondo giorno consecutivo il ministro Dario Franceschini pronuncia parole severe sul quartier generale Pd. Per gli amanti del genere, il segnale è inequivocabile. In una giornata che invece doveva essere quella della tregua, alla vigilia del lancio del «nuovo Pd» macroniano e autosufficiente, domani a Milano all’assemblea dei circoli. «Lasciamo stare ogni litigio, discussione o polemica. Due mesi fa due milioni di persone hanno scelto il segretario: riaprire quella discussione adesso non è un attacco a Renzi ma alle centinaia di migliaia di persone che hanno votato alle primarie», è il ragionamento messo in circolo dai renziani lealisti.

MA DAL NAZARENO stile renziano viene chiesto il disarmo unilaterale dei critici in attesa della direzione del 10 luglio. Forse però non è più tempo di queste pretese. Dopo Lorenzo Guerini anche Luca Lotti stoppa la richiesta di «riflessione» di Franceschini, in malo modo: bene la democrazia interna, male «se parti subito con l’attacco», dice il ministro, «pochi giorni fa alle nostre primarie 2 milioni di italiani hanno votato Renzi. Fine della discussione».

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FRANCESCHINI NON FA passi indietro. Detta alle agenzie: «A dire la verità la discussione è appena iniziata. In un partito che si chiama democratico, discutere civilmente e apertamente del proprio futuro e di come andare alle prossime elezioni, se da soli o in coalizione, è una cosa normale, positiva e utile», «non comporta la messa in discussione della leadership», «siamo all’abc della democrazia interna».

PER RENZI TIRA UN’ARIACCIA insomma. Non è in discussione la sua leadership nel Pd – e come potrebbe, con i numeri che ha -, ma la sua proposta elettorale di «correre da soli», riedizione fuori tempo massimo del modello Veltroni 2007, oggi sconsigliato – se non sconfessato – dallo stesso Veltroni. Da Bologna, a margine di un’iniziativa della rivista Left Wing, Matteo Orfini rincara: che il segretario del Pd sia il candidato premier «è una scelta fondativa del Pd, confermata due mesi fa in un congresso». Al congresso precedente lo stesso Orfini l’aveva contestata, ma oggi ad aver cambiato posizione sono in tanti, su diversi temi. Quanto al ritorno al centrosinistra, «una discussione di otto mesi sulla coalizione con una legge elettorale che non la prevede è il teatro dell’assurdo», dice il presidente, «può piacere o no ma ad oggi abbiamo una legge proporzionale». La discussione sulla legge elettorale proprio ieri è stata dichiarata chiusa dalla capigruppo alla camera. Se ne riparlerà alla ripresa, dopo l’estate. Forse.

NEL FRATTEMPO PERÒ, nonostante gli appelli più o meno garbati alla «discussione civile», nel Pd si è aperto il vaso di Pandora. Pesa la serie delle sconfitte, pesano le critiche di Prodi, quelle di Veltroni, gli appelli alla coalizione di Orlando. E anche di Nicola Zingaretti, presidente del Lazio. Perché la linea del «correre da soli» può avere ricadute disastrose ai prossimi giri del voto regionale. Lo dice con toni drastici il numero due del Lazio Massimiliano Smeriglio: «Chi ha lavorato alla distruzione dell’esperienza romana sta ora lavorando alla distruzione dell’esperienza regionale. Vogliamo dire al soldato Orfini: fermati. Stai costruendo un disastro a tutti i livelli».

Smeriglio è della partita di Giuliano Pisapia e Pier Luigi Bersani, che sabato prossimo a Roma lanceranno «Insieme» in piazza Santi Apostoli. Il fatto è che la piazza si sta riempiendo di malpancisti dem. E così dopo Orlando, Zingaretti, Pollastrini, Cuperlo, ieri si è annunciato anche Antonio Bassolino.

LA STIZZA DEL SEGRETARIO verso i suoi ex, improvvisamente diventati un pezzo dell’assedio intorno a lui, è forte. Altro che alleanze: ieri a Bruxelles è stato eseguito un ordine chiaramente partito da Largo del Nazareno: Massimo D’Alema, accusato di scissionismo, ha perso la presidenza della Feps (la fondazione che riunisce le fondazioni socialiste europee). Bocciata la proposta di far slittare il rinnovo della presidenza a ottobre, il presidente si è tirato indietro a favore della portoghese Joao Rodrigues. «Una vendetta politica», dice Roberto Speranza (Mdp), «l’unico risultato ottenuto è che il nostro paese da domani a Bruxelles sarà ancora più debole».