Gli ultimi sondaggi lo quotano come il Psi di Craxi: sotto il 15%. In perenne crisi d’identità, ondeggia fra opposte leadership deboli. E dalla periferia arrivano segnali inquietanti, come la spaccatura verticale in Trentino alla vigilia delle elezioni del 21 ottobre o il dibattito sulla conferma del governatore Stefano Bonaccini in Emilia (dove si voterà nel 2019, ma con l’ex M5S Federico Pizzarotti già in pista…).

È il Partito Democratico di Maurizio Martina. Alle corde, evanescente, senza linea. Forse, perfino al capolinea nell’ambizioso progetto di Walter Veltroni che risale al 14 ottobre 2007. Di sicuro, ormai prigioniero della sua stessa palude. Magari destinato a cambiar nome (Movimento democratico europeo?), a clonare la marcia di Macron (d’intesa con Berlusconi?) o a salvare il salvabile (con Zingaretti?).

Inchiodato dai fischi a Genova al funerale delle vittime di un crollo sempre più politico, il Pd prova a cinguettare la sua esistenza in vita. Con Emanuele Fiano: «Il problema non è avere ragione. Il problema è far ragionare». E Carlo Calenda: «La questione è organizzare un progetto alternativo». Fino al vice presidente dell’Europarlamento, David Sassoli: «Avremmo bisogno di uomini di Stato, non di sgangherati capipopolo che fanno i selfie ai funerali. E ce la faremo. Sarà dura, ma ce la faremo».

E ieri al Meeting ciellino di Rimini, cui è devoto fin dal 2013, l’ex ministro Graziano Delrio ha confessato: «Sono qui, ma ero indeciso se rompere il silenzio dopo la tragedia di Genova. Credo che all’Italia manchi moltissimo il senso dell’interesse nazionale, che riguarda famiglie, imprese, società, convivenza civile». Per poi scandire, in perfetta sintonia con il sottosegretario leghista alla presidenza del consiglio: «Noi non abbiamo mai ricevuto nulla dalla commissione che si è mossa a livello tecnico e non ha valutato come pericoloso il ponte. A noi non è stato segnalato nulla. E come Giorgetti, anch’io avrei avviato sicuramente la procedura di revoca. Troppo grave: c’è troppo bisogno di giustizia e di verità per passarci sopra».

Ma il vero appuntamento che agita il Pd è sempre il congresso. Con Matteo Renzi che torna ad affidarsi a Repubblica per un’intervista eloquente. Invoca un’opposizione vera al governo Conte, non più a colpi di fioretto. E soprattutto strologa così: «C’è un altro segretario, ci sarà un congresso. Chiunque lo vincerà dovrà contare sul sostegno degli altri, senza avere mai più fuoco amico. Ma scommetto che si faranno sentire anche tanti cittadini fuori dal Pd che non ne possono più di un governo di sfascisti con ministri della paura e della disinformazione. Da qui a Natale nasceranno in tutti i comuni comitati civici contro questo governo. E prima del previsto nell’angolo ci saranno Salvini e Di Maio».

Martina prova a reagire alle contestazioni (e ai veleni interni) con una dichiarazione: «A Genova era doveroso esserci. Da quei fischi dobbiamo ripartire per cambiare. L’unica cosa da non fare è trattare con sufficienza il clima che sta attraversando il paese, perché ci riguarda. L’alternativa a Lega e M5S si fa rimettendoci a fianco di queste persone. Solo così sconfiggeremo il pericolo rappresentato da chi governa oggi».

Intanto, per radiografare davvero la malattia chiamata Pd da venerdì fino al 17 settembre bisognerebbe traslocare a Modena. Nell’area di Ponte Alto, è in calendario la Festa provinciale dell’Unità di una delle roccaforti del Pci che nel 1990 celebrò proprio qui l’ultima kermesse di partito. Tuttora «gioiosa macchina da guerra»: 13 ristoranti, 7 punti ristoro, 20 incontri politici più 14 «forum di ascolto» e una ventina di dibattiti culturali. Sono annunciati – oltre al segretario Martina – il ministro per gli Affari europei Paolo Savona, il sindaco di Milano Giuseppe Sala, Pierluigi Bersani di Leu, l’ex premier  Paolo Gentiloni, gli ex ministri Marco Minniti, Carlo Calenda, Beatrice Lorenzin e Claudio De Vincenti.