La vigilia delle riunioni del Consiglio europeo è un rituale monotono quanto inutile. Il presidente di turno si presenta di fronte a un Parlamento addomesticato dall’obbligo, almeno per la maggioranza, di non creare difficoltà al manovratore. Il premier ascolta o finge di ascoltare ma che tenga conto del dibattito è escluso. La sceneggiata si ripeterà oggi al Senato e domani alla Camera.

La premier si è preparata all’appuntamento di giovedì a Bruxelles in un lungo colloquio telefonico con il cancelliere tedesco Scholz. Chigi informa che tra i due c’è stato pieno accordo sulla necessità di «dare un ulteriore segnale di sostegno all’Ucraina a 360 gradi». La formula si traduce con una parola sola: munizioni. Ieri il vertice dei ministri degli Esteri ha accolto la proposta presentata l’8 marzo dal rappresentante Esteri della Ue Borrell: 2 miliardi da stanziare subito per rifornire l’artiglieria di Kiev, poi di miliardi ne serviranno altri 3,5 dal momento che il fondo europeo per le spese militari all’estero creato nel 2021 con un budget di 5 miliardi ha speso quasi tutto per spedire armi all’Ucraina.

La proposta dovrà ora essere approvata dal Consiglio. Se ci saranno paesi titubanti l’Italia non sarà tra questi. La premier va avanti come un panzer, anche se qualche preoccupazione per il dissenso degli stessi elettori di FdI a Chigi inizia ad affiorare. Come d’abitudine qualche stormir di vento frondista nella maggioranza c’è stato. Non da parte della Lega, troppo contenta di aver ottenuto quel che voleva su tutti i fronti a partire dall’immigrazione per creare problemi, ma nelle file azzurre. Nonostante le dichiarazioni di fatto apertamente putiniane del Cavaliere e nonostante i dubbi di molti ufficiali forzisti, i conati di dissenso sono però stati riportati subito all’ordine. Se ne è occupata Marta Fascina, consorte del gran capo, ma ci vuole molta fantasia per immaginare che la deputata non si muova in piena assonanza con il Cavaliere. La scelta di evitare ogni frizione con la premier è sua.

La mozione unitaria della maggioranza confermerà dunque in pieno il radicalismo atlantista imposto dalla presidente ai tiepidi alleati. Le divisioni campeggiano tutte dall’altra parte della barricata. Il Pd presenterà una risoluzione in continuità con la linea di Letta: sarà ribadito il «sostegno al diritto all’autodifesa dell’Ucraina», formula obliqua per appoggiare l’invio delle armi però senza dirlo esplicitamente ed è la prima volta. Il particolare denota che nel Pd inizia a serpeggiare parecchia inquietudine pur se affrontata con l’eterno scudo dell’ipocrisia. Il documento dei 5S sarà al contrario esplicito e apertamente contrario all’invio delle armi. «Abbiamo già dato. Qualcuno deve imprimere una svolta e vogliamo che sia l’Italia. Mi auguro che il Pd, con la nuova leadership, possa fare una scelta nella nostra stessa direzione», assicura Conte. Va da sé che in realtà il leader dei 5S si augura soprattutto di mettere Schlein con le spalle al muro e recuperare così consensi. In realtà la sfida delle risoluzioni in questo caso è secondaria. Rilevante sarebbe l’intervento della segreteria domani, se decidesse di parlare ed è però quasi escluso. In ogni caso il Pd qualche differenza dalla linea Letta dovrà marcarla.

Si parlerà anche moltissimo d’immigrazione, al centro ieri di un incontro tra Meloni e il ministro Piantedosi ma anche molto del colloquio con Scholz. La premier spera di lasciarsi alle spalle l’orrore di Cutro. Non sarà accontentata. Proprio ieri tutte le opposizioni hanno chiesto l’accesso all’intera documentazione sulla tragedia. Quel caso non è chiuso.