Alla fine del pomeriggio, dopo l’elezione di Graziano Delrio e Andrea Marcucci per acclamazione, Maurizio Martina prova a dirla così: «È un chiaro segnale di unità del partito». Ma sulla scelta dei capigruppo di camera e senato il Pd ha sfiorato la prima spaccatura della legislatura. La proposta iniziale, su cui i renziani procedevano come panzer, era il tandem Guerini-Marcucci. Ma gli orlandiani e i franceschiani avevano avvertito che non avrebbero accettato una coppia così smaccatamente vicina al segretario. Nel primo pomeriggio l’incontro fra Renzi, «senatore semplice», Martina, Orfini e Guerini a Palazzo Giustiniani. Il vicesegretario «reggente» impone la mediazione, e fra i due candidati l’ex leader non può rinunciare al fedelissimo Marcucci, che organizzerà i lavori del Pd al senato, in pratica il bunker di Renzi.

I RENZIANI SONO PRONTI alla conta, certi di vincerla. Ma poi è lo stesso Guerini, uomo di mediazioni e di fair play, a fare un passo indietro. Ed è Renzi a capire che è meglio evitare lo scontro interno, almeno per ora. Alla presidenza dei deputati dem è dirottato Delrio, centrista a basso tasso di renzismo e alto di ’collismo’, insomma vicino a Mattarella. Il ministro uscente aveva fatto sapere di non voler fare il segretario del Pd. Senza entusiasmo accetta l’incarico alla camera. Da una parte e dall’altra l’elezione avviene per acclamazione: un escamotage per evitare la conta interna. I malumori restano, anzi raddoppiano: perché i renziani ora sanno di non potersi fidare del vicesegretario «reggente» e ne hanno preso nota in vista della prossima assemblea.

«MARTINA HA ESPLICITAMENTE messo la fiducia quindi era impossibile ogni tipo di discussione. Per questo si è proceduto per acclamazione, non si è né discusso né votato», spiega Antonello Giacomelli. Gli orlandiani incassano una mezza vittoria: «Chiedevamo un segnale, lo abbiamo avuto». Ora però chiedono anche un posto da vicepresidente in una camera. Ma fin qui circolano i nomi di Rosato per Montecitorio e Bellanova per Palazzo Madama: due renzianissimi. Guerini dovrebbe andare al Copasir. Lo scontro interno è solo rimandato.

A CASA DI LIBERI E UGUALI le cose non vanno meglio, fatte le dovute proporzioni di numeri. L’assemblea che deve indicare i capigruppo nei due misti inizia con Roberto Speranza e Nicola Fratoianni alla presidenza. Grasso è seduto fra gli altri, e non è lui a introdurre i lavori. Loredana De Petris è la candidata ’naturale’ alla presidenza del gruppo misto del senato dove Leu, con i suoi quattro eletti, è la componente più numerosa. Sulla senatrice ambientalista, parlamentare esperta e capogruppo uscente, non c’è discussione.

LA DISCUSSIONE SI APRE invece sulla proposta di Guglielmo Epifani: Roberto Speranza alla presidenza del gruppo misto della camera, in attesa di ricevere la deroga, fin qui ritenuta scontata, per formare un gruppo autonomo. Speranza, spiega l’ex segretario della Cgil e del Pd, ha bisogno di quel posto «di visibilità» per continuare «a costruire Leu». Ma la discussione non era stata «preparata», almeno non bene. Sul coordinatore di Art.1 calano le perplessità degli eletti di Sinistra italiana: non sulla persona ma sull’esigenza dare segnali di «cambiamento». In questa direzione vanno anche le parole di Laura Boldrini.

POI ARRIVA LA SENTENZA di Grasso: «Se il tema fosse la visibilità, allora io che sono il capo politico di Leu avrei dovuto chiedere la presidenza del misto del senato. E invece non l’ho fatto». La nuova proposta è Federico Fornaro, già sindaco di Castelletto D’Orba (Alessandria), senatore uscente e accurato studioso di sistemi elettorali.

SUCCEDE ANCHE CHE sulla discussione piomba la notizia della rottura con Nicola Zingaretti, nel Lazio. Episodio tutt’altro che minore in cui Leu regionale procede in ordine sparso (l’unico consigliere eletto resta nella maggioranza, la lista va all’opposizione), contestando al governatore di aver fatto accordi direttamente con Bersani («Se il nazionale vuole parlare di regioni, parli di Emilia Romagna», sibilano i romani). Imbarazzo generale.

PIÙ TARDI ALLA RIUNIONE del gruppo misto della camera però Leu, anche qui il gruppo più forte, propone Schullian (Svp). Ma lì è l’ex alfaniano Maurizio Lupi a prendere la parola e a far notare, con cortesia, che non è bello eleggere un presidente da parte di una forza che ha già chiesto la deroga per formare un gruppo proprio. Cioè pronta a fare le valigie. A essere eletto alla fine è Fornaro. Quando sarà concessa la deroga al Leu, il gruppo misto si sceglierà un altro (Schullian è indicato segretario d’aula). Meglio così, anche per Leu: perché il presidente Fico ai suoi ha già detto di essere orientato a non concedere deroghe, in nome del taglio delle spese.