Coprifuoco dalle 21 o dalle 22 sino alle 6 del mattino: in concreto chiusura notturna di tutti gli esercizi a eccezione di cinema e teatri. Chiusure mirate: a partire dalle palestre e dalle sedi sportive private, individuate come fonte primaria del contagio «amicale» che poi dilaga nelle famiglie. Ipotesi di interventi eccezionali sui trasporti, per decongestionarli: forse con un ricorso ai mezzi privati, come i pullman turistici rimasti a secco di turisti.

Questo e forse altro. In ogni caso nuove e drastiche misure anticontagio. Il Pd lo chiede apertamente: nuove chiusure, nuove restrizioni. «Ho chiesto a Conte un vertice per decidere senza indugio nuove misure di contenimento contro il contagio», annuncia a metà mattinata il capodelegazione Franceschini. «Servono oggi per evitare il lockdown totale domani», spiegherà più tardi una nota informale del Pd. Il vertice sarebbe già convocato, con all’odg la legge di bilancio ma il cambio di tema è inevitabile. La giornata del premier però è pienissima. La convocazione per le 22.30 resta in bilico e incerta sino all’ultimo. Questione secondaria, se il vertice dovesse rivelarsi impraticabile, se ne parlerebbe oggi.

Il Pd non è solo. Dal Comitato tecnico-scientifico filtrano umori identici. «Servono misure più stringenti», comunicano fonti anonime. Il coordinatore Miozzo smentisce: «Nessun pressing sul governo». La pressione è derubricata ad «ambienti del Cts». Vuol dire che i tecnici sono divisi e una parte insiste per la stretta. Nessuna felpatezza diplomatica invece da parte dell’Ordine dei medici: «Riteniamo necessarie misure più restrittive che salvaguardino lavoro e istruzione». Se si sommano molte Regioni, che già procedono per conto loro, è un coro.

Conte preferirebbe non ascoltarlo, prendere tempo, verificare se davvero siamo sulla strada degli altri Paesi europei, mettere alla prova il segnale d’allarme a distesa fatto risuonare con l’ultimo dpcm, di fatto già superato dalla realtà. Gualtieri si schiera con lui. I conti sono da brivido: il giro di vite potrebbe aprire la strada a una serie di nuovi interventi, l’economia italiana non svernerebbe. Renzi stavolta è d’accordo con loro: «Chiudere le scuole sarebbe un errore. Non si spara sul futuro». Senza contare i rischi «per le piccole imprese». Speranza, invece la pensa come il Pd, anzi, se fosse per lui, le restrizioni rigide sarebbero già state decise.

Dunque sarà confronto, o meglio scontro, a tutto campo. Ma la situazione è troppo vicina allo sfuggire di mano per limitarsi a confermare le misure, nella sostanza lievi, del dpcm. Il mancato impugnamento dell’ordinanza del campano De Luca sulle scuole, nonostante l’ira della ministra Azzolina, è un segnale chiaro. Lo sono anche le parole, meno tassative del solito, della stessa ministra: «Sulla chiusura delle scuole non decido io ma il governo».

Il panico da Covid impatta una situazione già tesissima. Qualche sia l’odg, il vertice non potrà non affrontare lo strappo di Renzi, la scelta, in effetti molto forte, di non votare una riforma costituzionale a un metro dall’approdo, quella sul voto ai diciottenni, accompagnata dalla richiesta, sempre minacciosa, di «verifica». Né la lista delle tensioni si ferma qui. Inevitabilmente il Mes torna a galla. Il Pd aveva nelle ultime settimane abbassato il tiro, su richiesta esplicita dell’ala più governista e favorevole all’accordo strategico con il Pd del Movimento: «Sino agli Stati generali evitate di aprire il fuoco sul Mes o tutto rischia di saltare».

La realtà però s’impone. All’impennata dei contagi si accompagna la rotta dei tamponi, della diagnostica, della inesistente «domiciliarizzazione delle cure», promessa circa un milione di volte in primavera, dei tracciamenti. Il risultato è un disagio fortissimo dei cittadini costretti a file estenuanti che innesca rabbia e rischia di travolgere la popolarità sia del governo che delle amministrazioni locali. Servono soldi, tanti e subito.

Duecentocinquanta sindaci di area centrosinistra scrivono a Conte: «Usare il Mes è una priorità assoluta». Renzi aggiunge il suo carico: «Non capisco perché non sia ancora stato chiesto». Il Pd stesso si rende che difendere la sordina momentaneamente messa sul tema per fare un favore agli amici pentastellati potrebbe rivelarsi impossibile nel giro non di poche settimane ma di qualche giorno. La tattica di Conte, rinviare la decisione sino a quano l’arrivo del Recovery Fund depotenzierà la polemica, potrebbe non reggere alla carica del Covid 19.