Due assemblee fiume con i ’suoi’ parlamentari, o per meglio dire, con quelli che lo hanno sostenuto alla corsa delle primarie. Ieri mattina, in un Transatlantico desertico, un altro lungo colloquio con il ministro Andrea Orlando, ambasciatore dei giovani turchi. Poi, forse più per sfinimento che per convinzione, Gianni Cuperlo ha detto sì alla presidenza dell’assemblea nazionale che si riunirà per la prima volta domani a Milano. Tre giorni fa aveva detto no. Il pressing dei suoi gli ha fatto cambiare idea. Non ha annunciato il suo sì su twitter, nuova liturgia dell’era Renzi, ma telefonando al segretario da cui aveva ricevuto la proposta. Anzi fino a sera l’ultimo suo cinguettìo (ma la parola è inadatta al tono cupo della frase) era: «Vorrei che le mie scelte fossero giudicate per ciò che sono: mie scelte e non il portato di altro. Insopportabile doverlo rivendicare». Ce l’ha con quelli che attribuivano il no alla presidenza al suggerimento di Massimo D’Alema. Che dell’opposizione interna della sinistra Pd, quella non civatiana, si era fatto tutta un’altra idea, come spiega chi ci ha parlato in questi giorni: un’area di resistenza, collaborativa nel merito ma ben distante dalla gestione Renzi e dai suoi organismi dirigenti. Un grande convegno da organizzare a inizio 2014 per rassicurare quel 18 per cento di elettori, soprattutto quel 38 di iscritti (mezzo partito) che la sinistra c’è e ha intenzione, per dirla con Cuperlo, «a non rinunciare alle sue idee» e «non scendere dal treno» dem, anche se la direzione renziana non è quella giusta.
Ma le diverse anime cuperliane – otto all’anagrafe – la pensano diversamente. E così – dopo un pressing serratissimo – è rimasto solo l’ex ppi Fioroni a condividere la scelta di non accettare la carica. Cuperlo temeva di doverla interpretare come un ’ruolo di garanzia’, rinunciando alla guida della non proprio coesa sinistra socialdemocratica. Renzi lo ha rassicurato, Orlando e gli altri gli hanno giurato che nessuno lo vuole ingabbiare. A decisione finalmente presa, tutti lo ringraziano come si fa con un dirigente che fa una svolta dolorosa.
Ma se Cuperlo sarà davvero la guida dell’opposizione interna si vedrà presto. Bersaniani ed ex ppi sono inclini alla guerriglia con il neosegretario, i turchi sono collaborativi (Renzi avrebbe voluto Matteo Orfini in segreteria) e decisi a rottamare la vecchia guardia; poi ci sono nostalgici del «correntone» Ds e i dalemiani in attesa della prima vera prova del leader, le europee del 24 maggio. «Le amministrative, prima, le vinceremo di sicuro», spiega uno di loro. Tenere insieme tutti non è facile, e fare il capocorrente non è nella natura di Cuperlo. Lo si è già visto ieri, nella complicata riunione per scegliere i suoi nomi 22 nomi della direzione (metà donne, 81 saranno di area segretario e 17 area Civati).

Renzi procede con il vento in poppa. Incassata una mezza non belligeranza con Cuperlo e con Civati Civati (Taddei, uno dei suoi, è in segreteria, ma Pippo giura che siamo alla famigerata «cogestione»), domani sarà proclamato segretario. E comincerà a sfoderare i suoi effetti speciali. Il primo doveva essere una sfida a Grillo:  la rinuncia alla tranche 2014 dei finanziamenti pubblici e un impulso alla legge. Ma  ieri il premier Letta ha già fatto approvare il decreto.

Il secondo, annunciato da mesi ma fin qui rimandato, sarebbe il famoso job act, un piano per il lavoro ispirato – ha spiegato il veltroniano Tonini – alle tesi del giuslavorista Ichino (contratto unico e cancellazione dell’articolo 18). Scelta ad alto rischio di polemica, che infatti per ora è stata di nuovo rinviata. Oggi Renzi declina diversamente il conflitto con la Cgil. Negli scorsi giorni ha incontrato il leader Fiom Landini – all’inaugurazione di una mostra – e usato parole di interesse sulla legge sulla rappresentanza dei lavoratori, cavallo di battaglia dei metalmeccanici.