Il suo motto essenziale? Un’insaziabile brama di comunicare. A dichiararlo nella sua storica autobiografiaF Private Domain, è uno dei grandi maestri della «modern dance» americana, Paul Taylor, nato a Wilkinsburg, in Pennsylvania, nel 1930, 85 anni festeggiati lo scorso 29 luglio, e nome con cui Vicenza Danza ha aperto la sua ventesima edizione al Teatro Comunale della città. Un compleanno importante per una rassegna che ha ospitato nel tempo artisti come Alessandra Ferri, Matthew Bourne, Angelin Preljocaj, Antonio Gades per un totale in vent’anni di ben 130 mila spettatori.

Quest’anno dopo Taylor ci sarà la Giselle del Royal New Zealand Ballet, compagnia diretta dall’italiano Francesco Ventriglia, i Momix, il Ballet du Grand Théâtre de Genève, il Tulsa Ballet, il Wiener Staatsballet, ma anche l’hip hop dei Kafig e una sezione contemporanea aperta il prossimo febbraio dal trascinante assolo Jessica and me della danzatrice del Wuppertal Tanztheater di Pina Bausch, Cristiana Morganti. La Paul Taylor Dance Company è una delle compagnie più longeve d’America: fu fondata da Taylor nel 1954, in un’epoca in cui a confrontarsi a New York erano le creazioni della madre del modern Martha Graham, del rivoluzionario Merce Cunningham, del fondatore del neoclassicismo George Balanchine, del padre del multimedia, Alwin Nikolais. Taylor aveva iniziato la sua carriera al college di Syracuse come nuotatore, poi la danza lo stregò e, pur avendo iniziato tardi, ballò per tutti, da Graham a Cunningham, da Balanchine a Antony Tudor. Lui stesso fu uno sperimentatore: nel 1957 presentò a New York con collaboratori come Robert Rauschenberg Seven New Dances in cui il ‘non movimento’ era al centro dell’evento. La gente lasciò presto la sala, ma Taylor divenne famoso e capì che nel futuro avrebbe ragionato molto sul problema del rapporto con il pubblico.

Il programma proposto da Vicenza Danza ne è un esempio: coreografie giocate su una danza cantabile, fluida, resa coinvolgente dai grandi movimenti nello spazio, dai passi a due e dagli insiemi che scivolano dentro la musica con duttilità e inventiva. Tre i titoli scelti tra i più di 140 del repertorio Taylor: Arden Court (1981), Equinox (1983), Promethean Fire (2002). La relazione con la musica è portante, William Boyce per Arden Court (estratti dalle sinfonie), Brahms e il bellissimo quintetto per archi op. 88 in fa maggiore per il meditativo Equinox, Bach per Promethean Fire. Un andamento circolare caratterizza i tre lavori che si aprono sempre con momenti d’insieme, hanno al centro parti più intime, in cui il singolo o la coppia emergono, per chiudere con un finale collettivo. La serata è un crescendo verso la creazione più recente.

Costruito su una partitura di culto come la Toccata e fuga in re minore orchestrata da Leopold Stokowski, seguita da Prelude in mi bemolle minore e Corale Prélude 680, Promethean Fire nasce in ricordo della tragedia dell’11 settembre. Non c’è evidenza di racconto, come nella maggior parte dei pezzi di Taylor, ma il pubblico entra in condivisione con l’intimità quasi sentimentale della danza, con il vocabolario del corpo. In Promethean Fire la coreografia dell’insieme, come dei singoli, comunica la voce intima di una collettività piegata dal conflitto e dal dolore e di una possibile, necessaria e catartica rinascita. Taylor firma qui un canto di dolore e di speranza in cui la musica sprona i danzatori in un rapporto non didascalico ma potente: un pezzo nel quale si sente la mano dell’ultimo grande vecchio della modern dance.