Patto per Napoli, si attende solo la firma a Palazzo Chigi. La norma è stata inserita nella legge di Bilancio (commi dal 567 al 580): previsto un contributo a fondo perduto di 2 miliardi e 670 milioni erogati dal 2022 al 2042, ripartiti tra le città metropolitane che abbiano maturato al 31 dicembre 2021 un disavanzo pro capite superiore ai 700 euro. Si tratta di Napoli con un disavanzo pro capite di 2.303 euro; Palermo (1.483 euro); Reggio Calabria (991 euro); Torino (908 euro). È necessario sottoscrivere un piano imposto dal governo, che impegna fino al 2042. «Napoli ha un’esposizione di 4.981.062.563 euro – ha spiegato l’assessore al Bilancio, Baretta -. Il riparto dei fondi ci attribuisce 1.231.549.600 euro».

PER CISCUN ANNO il comune dovrà fornire risorse proprie pari a un quarto del contributo (307.887.400,19 milioni in tutto) «da destinare al ripiano del disavanzo e al rimborso dei debiti». Gli strumenti da utilizzare sono nella legge di Bilancio: incremento dell’addizionale Irpef in deroga al limite previsto (Napoli essendo in predissesto ha già tutte le tasse al massimo); addizionale sui diritti di imbarco dei passeggeri; incremento dei canoni di concessione e locazione, valorizzazione e alienazione del patrimonio; razionalizzazione delle partecipazioni societarie. E poi la riscossione delle tasse (oggi scarsissima), razionalizzazione della spesa e del personale. La leva del personale non si può usare poiché il comune ha appena 4.500 dipendenti.

RESTANO LE TASSE: l’Irpef dal 2023 sale dello 0,1% e un ulteriore 0,1% dal 2024 (esenzione fino a 12 mila euro) più la tassa d’imbarco. La riscossione a un privato, la valorizzazione del patrimonio va a Invimit, spa del Mef. Intanto sarà venduta la rete del gas e si prevedono alienazione di immobili. Per i creditori ci saranno transazioni ma non per le fatture del 2021, pagate per intero. Partecipate: l’amministrazione assicura che non ci saranno dismissioni ma accordi con privati; entro settembre sarà presentato un piano, la due diligence ancora a un privato. E bisognerà discutere con il governo per stralciare le partecipate dai creditori: la svalutazione delle loro partite le porterebbe al fallimento.

ALBERTO LUCARELLI, ordinario di Diritto costituzionale: «La legge di Bilancio dice esattamente il comune cosa deve fare, è un contratto a schema definito e l’ha definito il contraente forte, quello che dà i fondi e tratta un’articolazione fondativa dello Repubblica come un ente che deve accettare i vincoli. Resta da verificare come si concretizzerà l’accordo sulle partecipate con la due diligence al privato. L’assessore vorrebbe inserire una clausola di salvaguardia per modificare il patto nel caso in cui le condizioni cambiassero, magari riducendo le tasse, ma questo nella norma non sembrerebbe esserci, anzi si parla di verifiche del Mef molto stringenti, con elementi fortemente sanzionatori fino alla Corte dei conti. Questo rapporto segue un modello statocentrico di natura privatistica. Come la Commissione Ue con la Grecia. Non sembra un patto collaborativo tra articolazioni della Repubblica, come prevederebbe l’art 114 della Costituzione».