È di nuovo Dario Franceschini a tracciare la rotta del Pd, proponendo (in un’intervista a Repubblica) alleanze tra i democratici e i 5 Stelle in tutte le regioni che stanno per andare al voto. Sono nove, la prima tra poco più di un mese (Umbria il 27 ottobre), le seconde tra la fine dell’anno e l’inizio del 2020 (Emilia Romagna e Calabria), altre sei (Veneto, Liguria, Toscana, Marche, Campania e Puglia) nella prossima primavera. Zingaretti immediatamente raccoglie: «Idea corretta, bisogna rispettare le realtà locali ma se governiamo l’Italia con un programma chiaro, perché non provare ad aprire un processo anche nelle regioni?». Il Movimento 5 Stelle reagisce invece con freddezza, ma solo in maniera ufficiosa e con la formula che tante volte ha aperto la strada a ripensamenti. «Il tema delle alleanze alle regionali non è all’ordine del giorno – dicono le solite «fonti» del M5S – le priorità del Movimento sono altre». Non è un sì ma neanche una chiusura totale.

Anche perché le convenienze sono reciproche. Se il Pd ha davanti lo spettro di perdere per la prima volta la guida dell’Emilia rossa, i 5 Stelle devono porre rimedio alla loro consolidata debolezza nelle elezioni locali. E poi c’è il «pericolo Salvini», quello sul quale si regge anche l’alleanza nazionale. Pericolo attualissimo in Umbria, dove la brutta fine dell’amministrazione Pd indebolisce ulteriormente il centrosinistra che a maggio ha perso cinque comuni su cinque in regione. Guardando ai risultati delle europee, sempre a maggio, per tenere testa alla destra non basterebbe neanche l’alleanza tra 5 Stelle e Pd. Anche immaginando che i voti raccolti dalle due formazioni siano perfettamente sommabili (ma è difficile). Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia partono da oltre il 51%; Pd e 5 Stelle insieme dal 38% con un altro 4% recuperabile tra +Europa e Sinistra. Il Pd del commissario Walter Verini ha già messo in campo un candidato, ma è il «civico» Andrea Fora che ha avviato il dialogo con alcune liste non di partito. Potrebbe essere il profilo giusto per convincere i grillini, che alle alleanze locali con le liste civiche hanno già dato il via libera. «L’avversario da battere – ha detto il senatore umbro dei 5S Lucidi – è Donatella Tesei». Candidata sovrastata nella visibilità da Salvini, che ancora ieri era in Umbria a «sfidare» dem e grillini ad allearsi: «Lo facciano e vinciamo noi».

La necessità di fare argine alla Lega si estende in tutte le altre regioni, ormai anche al sud. E se il pericolo a livello nazionale è usato per giustificare la conversione del Pd al proporzionale, a livello locale sono proprio le leggi elettorali maggioritarie che suggeriscono di abbracciare i 5 Stelle. Anche se non mancano opinioni diverse. «Un conto è un accordo tra forze alternative per reagire alla forzatura pericolosa di Salvini, un conto è immaginare che M5S sia diventato improvvisamente una costola della sinistra. Sarebbe un grave errore di prospettiva», dice l’ex presidente del partito, Matteo Orfini citando D’Alema (che «una nostra costola» definì la Lega in un’intervista del ’95 al manifesto).
Zingaretti però il tentativo vuole farlo. Anche in Calabria, dove ha da tempo liquidato le ambizioni dell’uscente Oliviero. Il commissario del partito in Calabria ha sconfessato le «primarie istituzionali» convocate dal governatore dem: il Pd ha evitato di mettere in campo un candidato per tenere aperta la porta ai grillini. Che però ieri l’hanno chiusa con Nicola Morra, il presidente dell’antimafia che sarebbe anche il candidato ideale per M5S: «Com’è possibile rapportarsi positivamente con il Pd, visto che nei prossimi giorni la regione che guidano si prepara a riaprire ben cinque discariche dismesse? Non potremo mai allearci con chi minaccia la salute».

La strada è ovviamente in salita anche in Emilia, dove invece il Pd non può rinunciare al candidato: il presidente uscente Bonaccini. D’altra parte i 5 Stelle non sembrano avere un’alternativa e potrebbero avviarsi a una forma di desistenza mascherata dietro un candidato debole. Le vie della collaborazione possono essere diverse, anche in una regione dove non si voterà a breve, il Lazio, che però è stata il laboratorio del dialogo Pd-5 Stelle attraverso il «patto d’aula» che regge Zingaretti. Proprio il segretario del Pd sta pilotando il trasloco al governo, come sottosegretario, del suo assessore allo sviluppo economico Gian Paolo Manzella. Liberando così il posto per una figura gradita ai grillini.