Pasti gratis, tra mensa dei poveri e ristoranti stellati
C’è una naturale tendenza in ognuno di noi ad aggrapparsi alle proprie tradizionali letture di come gira il mondo. Ma una recente intervista dell’ex presidente del consiglio Mario Monti su ciò che il governo attuale dovrebbe fare, pare rimuovere interamente gli ultimi 15 anni e riproporre meccanicamente l’identica analisi del contesto di allora e le proposte che in parte attuò con il suo governo. Un intervento indicativo di ciò che pensa ancora quella parte che potremmo definire tecnocratica delle classi dirigenti nostrane e che al contempo fatica a raccogliere un consenso sufficiente a governare, nonostante ricopra ruoli di primo piano. Si parte dalla preoccupazione che le necessarie scelte «lacrime e sangue» non dovrebbero essere considerate l’effetto di un presunto vincolo esterno di tipo continentale, ma che dovrebbero essere assunte come un «vincolo interno», da perseguire consapevolmente per sottrarsi a quell’immaginario internazionale che ci vede come le solite cicale. L’assunzione di responsabilità attraverso un vincolo interno, dunque, che contribuirebbe a perseguire quell’«orgoglio nazionale» che l’attuale governo vorrebbe incoraggiare. Una politica che dovrebbe essere faticosa per tutti quei partiti che irresponsabilmente hanno propagandato ingannevoli promesse a scopo di consenso, ma auspicabile per quei cittadini che sperano in una «politica più seria anche se dovesse costare loro il venir meno di qualche mancetta».
Invertendo così la rotta di quella che, secondo Monti, nei decenni è stata una politica di ostacolo alla crescita dell’economia italiana, facendo aumentare continuamente la zavorra del debito pubblico. Insomma il senatore a vita auspica una «svolta importante» per il ritorno di una «visione moderna», una «comunanza di alta politica» che potrebbe essere rappresentata dalle dichiarazioni della Meloni sulla fine dei soldi gettati dalla finestra, come dalla figura di «grande garanzia per il governo e per il paese» incarnata dal ministro dell’economia Giorgetti. Si apre un ponte, non è chiaro quanto strumentale, verso una parte del governo con l’intento di rilanciare politiche di rigore di bilancio per uscire dall’impasse. Monti sorvola completamente sulle contraddizioni di questa impostazione. Dopo la crisi finanziaria del 2007-2009 il debito è esploso a livello globale, mentre la crescita non è data neppure nei paesi più «virtuosi» nelle politiche di bilancio. Tutto è riconducibile a problemi di «mancette» dal Giappone agli Stati Uniti, passando per Francia e Gran Bretagna? Non solo, neanche il rigore coniugato al mercantilismo trainato dalle esportazioni ha consentito l’aumento del benessere in maniera duratura. La crisi economica e politica della Germania ne costituisce il caso più macroscopico.
Ma soprattutto, anche chi ha perseguito dure politiche austeritarie non è riuscito a ridurre i debiti sovrani, e il prezzo pagato è andato ben al di là di «qualche mancetta» a cui i cittadini sarebbero disposti a rinunciare. L’economia a debito impostasi in questi anni è esattamente il contrario di tale lettura. Il debito pubblico si espande a partire dall’emergere di un debito privato e finanziario senza precedenti. Debito pubblico ha significato socializzazione delle perdite e supporto ai profitti, non crescita della spesa sociale, ed è stato complessivamente uno strumento per radicalizzare le differenze socio-economiche e sostenere l’attuale modello di accumulazione.
È vero, come sottolinea Monti, che in economia nessun «pasto è gratis», ma qua possiamo constatare che c’è chi paga salata la mensa dei poveri e chi si vede offrire lauti pranzi in eleganti ristoranti. Se si vuole ridurre il debito pubblico riducendone il costo per interessi sarebbe il momento di raccogliere risorse a partire da quei soggetti che negli ultimi due decenni si sono arricchiti maggiormente, che da tale sistema di accumulazione hanno tratto i principali vantaggi.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento